Eppure....leggete qui (articolo di Giacomo Gambassi in Avvenire di mercoledì 6 febbraio 2013).
«Nel Belpaese si fa incetta di vocaboli inglesi. Ma oltre Manica – e al di là dell’Atlantico – le nostre parole si adottano fino a entrare nel vocabolario quotidiano. Ciao è un saluto familiare nei Paesi anglosassoni.
Cappuccino e caffè latte sono all’ordine del giorno nei bar britannici. Bravo si grida nei teatri di tutto il mondo. Ecco perché i maggiori nemici dell’italiano rischiano di essere gli stessi italiani, sostengono gli studiosi. All’estero la nostra lingua è apprezzata, studiata e parlata: lo dimostrano il rilancio che sta avendo negli Usa e la diffusione che si registra nel Sud-Est asiatico, soprattutto in Giappone. Certo, talvolta la scelta di servirsi del lessico della Penisola si porta dietro alcuni stereotipi: pizza, spaghetti e mandolino sono tre esempi di un riduzionismo che è soprattutto concettuale. E pensare che dalla lingua passa anche il made in Italy insieme con il patrimonio culturale che il Paese custodisce. Invece dalle Alpi alla Sicilia si fa i conti con una scarsa consapevolezza dell’idioma nazionale che oltre confine è visto come una sorta di fiore all’occhiello ed è sinonimo di eleganza, acume e lungimiranza.
Oggi i settori gastronomico e musicale sono le sfere in cui il nostro lessico si impone, fanno sapere dall’Accademia della Crusca. Però, se si guarda al Medioevo, l’Italia ha regalato all’Europa parole come banca, capitale o polizza. Quasi a dire: l’italiano che nella storia ha inciso sull’economia è oggi amato per il suo richiamo alla gioia di vivere».






