Correva l’anno 1993.
Ero un consigliere comunale allora, per la precisione capogruppo di maggioranza, e in tale veste ricevevo settimanalmente l’elenco delle deliberazioni della giunta comunale.
Un giorno vidi in elenco una delibera che regolarizzava una strana fattura, di circa un milione di lire. Occorre dire che a quel tempo le regole contabili dei Comuni prevedevano che le spese che non seguivano il giusto iter amministrativo, potevano essere “regolarizzate”, per così dire, dalla Giunta comunale entro 15 giorni. Trascorso questo periodo, vi era il procedimento per il riconoscimento dei debiti fuori bilancio, che doveva passare dal Consiglio comunale ed era molto più complesso e “insidioso”.
Insospettito (il sindaco era socialista), quando mi recai in Comune e chiesi spiegazioni su quella fattura.
Mi spiegarono che una decina di giorni prima si era svolta una festa in piazza, nell’ambito di un più vasto programma di iniziative estive, con tanto di gruppo musicale, balli, pinzillacchere e tricchetracche. Alla fine della festa, il sindaco aveva pensato di invitare a cena una quindicina di persone, con in testa il Prefetto e consorte. La fattura era la spesa al ristorante per quella cena, non prevista e non preventivata nell’ambito dell’iniziativa e perciò regolarizzata in un secondo momento.
Obiettai che quella secondo me non era un’iniziativa “istituzionale”, che il sindaco non poteva andarsene in giro a invitare a mangiare i suoi amici e poi pretendere che il Comune pagasse, ma i funzionari comunali alzarono le spalle: così andava il mondo.
Allora presi carta e penna e scrissi al presidente del collegio dei revisori dei conti, illustrando la storia e le motivazioni per cui, a mio parere, quella spesa non poteva essere posta a carico del Comune.
All’epoca, il collegio dei revisori dei conti era presieduto dal titolare di un notissimo e quotatissimo studio cittadino, che solo a pronunciarne il nome quelli dell’ambiente si genuflettevano.
Dopo qualche giorno l’esimio revisore mi rispose, con tanto di lettera raccomandata. Ricordo ancora che mia madre mi raccontò che la postina che le consegnò la lettera, la cui busta riportava in un angolo il nome dello studio, le disse: “Accidenti, non pensavo che suo figlio avesse rapporti con il dottor…!”
L’esimio professionista mi comunicò che, esaminata la mia lettera, la documentazione, eccetera eccetera, non trovava niente di irregolare in quella spesa e nella successiva regolarizzazione a opera della Giunta comunale.
Commentai il tutto con un lapidario “Vaffanculo“.
Ricordo questo episodio (ma la mia mente, ormai inesorabilmente colpita da Alzheimer precoce, ne ricorda tanti altri, risalenti a tanti e tanti anni fa…) perché quando oggi leggo delle spese folli alla Regione Lombardia, come ieri leggevo di quelle alla Regione Lazio, e sento i soliti soloni che s’incazzano e i soliti minchioni che vogliono votare Grillo per fare pulizia (magari dopo avere votato per vent’anni il berlusca), mi viene da ridere.
Io lo sapevo, tutti nell’ambiente lo sapevano. Chi non lo sapeva, o faceva finta o era un coglione.
Qualcuno si è opposto, ma era solo e allora se n’è andato per non condividere più (mai più) certe compagnie…