Wales 30 - 3 England
Se siete gallesi inutile dirlo: chissà cosa resterà di Cardiff dopo la festa. Se avete un debole per i Dragoni, alla vittoria azzurra sugli irlandesi all'Olimpico che ha il sapore di storia e di nuovo capitolo per il rugby italiano, potete aggiungere benissimo le emozioni di una "finale" da annali. Questo post è partisan, ci perdonerete: Galles 30 Inghilterra 3 e gli uomini del caretaker Rob Howley che si tengono il titolo di campioni del 6 Nations ammutolendo la truppa di Stuart Lancaster in un Millennium Stadium che è un catino infernale. Pareva una mission impossible dopo il filotto di otto sconfitte di fila, la sconfitta con l'Irlanda nel primo turno, un dna smarrito e i dubbi, tra cui quello se Sam Warburton e Justin Tipuric possano giocare assieme. Possono, coronando l'azzardo con una duplice prova stupenda e Man of the Match a uno dei due. Senza Gran Slam, non c'è Triple Crown ma nessuno storce il naso per questo, come avvenne a The Others nel 2011. Anzi.
E' presto detto quanto è accaduto a Cardiff, in una partita dal livello di intensità altissimo, roba difficile star dietro e prendere appunti su ciò che avviene in campo, dopo una prima fase nemmeno di studio ma di tregua armata.
La prima nota va doverosamente al'arbitro neozelandese- australiano Steve Walsh, uno lontano dai protagonismi a colpi di fischietto in stile europeo, preferendo l'autorevolezza dialogante anche a costo di qualche imprecisione compensata da una ottica rigidamente bi-partisan, simboleggiata dalla tipica smorfia con alzatina di spalle "well, yeahhh..." equamente distribuita: l'effetto è fasi che si affastellano su fasi interminabili, i continui cambiamenti di fronte senza interruzioni. Spettacolare, esaltante considerando la posta in gioco. Ambedue le squadre fanno la loro parte in questo copione senza risparmio o braccini corti, anche se alla fine con efficacia diversa testimoniata dal punteggio.
Le rispettive mischie sono presto a confronto e i riccioloni di Adam Jones sono più lesti a prendere le misure sull'ex cresta di Joe Marler. l'arbitro riprende Ben Youngs perché si attarda a mettere a disposizione l'ovale dei due pack mentre Dan Biggar pur conservando l'atteggiamento understatement che condivide con Priestland, l'ex titolare del ruolo, conferma la confidenza che mostra dall'inizio del Championship, andando di piede in profondità e di precisione. Il Galles si precipita in avanti nei primi minuti e ottiene un penalty per Leigh Halfpenny da fuori i 22 al 10' per aprire le marcature. La risposta avversaria è una bella combinazione targata Manu Tuilagi - Mike Brown lungo l'out di sinistra, ma il riciclo dell'ala si perde, nessuno si fa trovare pronto, mentre Mike Phillips batte veloce un free kick e semina panico tra le maglie bianche. Al 17' Halfpenny è di nuovo alla piazzola per il quarto fallo in ruck inglese in meno di un quarto di gara ed è il primo allungo dei padroni di casa sul 6-0, che Owen Farrell riprende subito perché stavolta Walsh spiega a Warburton che deve prima mollare il placcato e solo poi contestargli il possesso.
Vince ancora la mischia del Galles come nei precedenti successi su Italia e Scozia. A fine gara si contano quattro ingaggi su propria introduzione per gli ospiti e solo uno va a buon fine. Al 23' per esempio Walsh vede gli estremi per un standing up di Ben Youngs, Halfpenny concretizza. Il contagiri è sempre ai regimi più alti, botta e risposta, tutti ci mettono la faccia, l'intensità è stellare. Farrell serve bene Chris Ashton mandando fuori tempo Jamie Roberts, il quale allunga la mano e di francesina rallenta la cavalcata dell'ala che ha campo libero davanti a sé. Lo stesso Farrell al 26' non trova i pali e lascia per strada punti apparentemente non difficili in una finale. Va detto che il management gallese ha chiuso il tetto del Millennium Stadium, in quelle condizioni l'ambiente si fa sempre più wet man mano che il tempo passa: diverso dal warm up prepartita in cui il piazzatore "straniero" prende le sue misure.
Marler, messo regolarmente sotto da A.Jones in mischia chiusa (Walsh si affida molto nelle mischie all'aiuto del guardalinee sul lato chiuso), trova un raro sussulto di gloria alla mezz'ora nel confronto ravvicinato; si passa per una rimessa stavolta nei 22 gallesi, ma il lancio di Youngs è fuori misura, Biggar prende e calcia a sua volta fuori. Il pallone è stato portato dentro l'area dei 22 e così si torna indietro, ma l'Inghilterra fa a sportellate senza ottenere alcunché. Anzi rischia grosso quando Biggar intercetta e lancia il cambio di fornte a gioco rotto, il passaggio al largo arriva da George North che si libera di due difensori e aziona le leve fino a metà campo, quando Brown lo rallenta toccandolo alla caviglia "alla Canale" e leva le castagne dal fuoco.
L'intensità non rallenta. Farrell inventa un assist di grabber per il propositivo Brown nei 22, Jonathan Davies sporca il riciclo all'interno e Halfpenny spazza via. E' forse il momento in cui gli inglesi si rendono più pericolosi, senza dare però la sensazione di riuscire a completare. La strategia apparente è quella di contrastare la anticipata "garra" dei Dragoni profondendo altrettanto spirito combattivo, mantenendo il gioco più possibile lontano dai propri pali. Nella contesa si evidenzia fin da subito Alex Goode, splendido interprete del gioco tattico e di scelte le più wise, uno che riesce sempre a coprire anche le proprie sbavature oltre a quelle dei compagni. nella A tabellone, di fatto il Trofeo è ancora ingelse (sei punti di scarto, ai gallesi ne servono almeno sette). Avessero prevalso gli inglesi, sarebbe stato il loro Man of the Match.
La questione che incrina l'approccio inglese alla partita è la mancanza di una piattaforma, un ancoraggio alla quale affidarsi, al punto che Youngs tarda nuovamente a inserire la palla in mischia. Altro zig zag di Phillips per avvicinarsi ai 22, le porte si chiudono e dopo alcune fasi il Galles, a tempo scaduto, si affida al drop di Biggar che esce di poco.
Nove a tre al riposo, il punteggio è fermo dal 24' anche se le squadre si sono spolmonate senza risparmio su e giù per il campo; il Trofeo è ancora inglese ma non si può dare il primo round a Lancaster. La sensazione è che furi casa, senza precisione nei piazzati, con mischia che cede e a questi ritmi, il crollo sia solo questione di tempo, a meno che il coach dalla Cumbria non inventi qualcosa.
Sugli spalti è contesa tra i cori Bread of Heaven e Swing low, Sweet chariot ; si riprende di ping pong, come andrebbe bene agli inglesi, difatti Halfpenny commette l'unico errore della serata con la pedata lungolinea che esce direttamente da fuori i 22. Rimessa inglese affidata alla presa di Geoff Parling, si aziona la maul che crolla (Welsh qui come al solito lascia giocare), la palla non esce dal raggruppamento ed è turnover. Lancaster fa la sua mossa: al 44' corre ai ripari in mischia inserendo Mako Vunipola per Marler, ma gli equilibri in mischia non cambieranno, il gigante è subito punito da Walsh perché non si lega. Azzardo sia la svolta della partita: i rinforzi non riescono a mettere gli inglesi sul piede avanzante.
In compenso il neoentrato fa il fetcher su una incursione di Roberts e nel giro di dieci minuti placca qualunque cosa gli passi a tiro. Al 47' dalla loro rimessa i gallesi entrano nei 22 inglesi, è scatenamento di pick & go che porta i padroni di casa fino ai 5 metri dopo la carica suonata da Tipuric. Tre lunghi minuti di fasi nel pieno del territorio nemico che si arrestano dopo il vantaggio assegnato dall'arbitro e Halfpenny che firma il 12-3: al 51' il Galles mette per la prima volta le mani sul campionato, ma è ancora lunga.
Farrell spegne definitivamente il morale e le speranza dei suoi sul secondo piazzato sbagliato all'ingresso nell'ultimo quarto, per un placcaggio alto di Faletau su Ashton. J. Davies di risposta dribbla un paio di uomini ed è atterrato sui 5 metri, si va da un lato all'altro del terreno di gioco, la trincea inglese resiste e Farrell coglie l'occasione per ripagare North del placcaggio di un anno fa a Twickenham, ma c'è Biggar pronto di drop e stavolta è preciso, siamo al 64' è 20-3 nel godimento del pubblico che comprende come il bull (dog) sia oramai matado. Le contromosse di Lancaster sono oramai disperate, scollanti: dentro Danny Care e Toby Flood e Jamie Haskell. Warburton si prende la scena un minuto più tardi con un break dalla propria trequarti, è l'accelerazione che può chiudere il discorso. Ruck, palla al largo, si passa per le mani di Tipuric che sa come indossare i panni non solo del ball carrier testa-bassa ma del second five eight più sgusciante: punta i 22 sul lato destro, si infila tra i difensori che tengono d'occhio la salita dell'ala e serve ancora Cuthbert al momento perfetto, dandogli il corridoio libero per la doppietta che lo rende miglior realizzatore del torneo. Biggar rimpiazza alla trasformazione Halfpenny, già miglior marcatore del campionato, siamo al 27-3 che schiaccia inglesi e tentativi di riaprire la questione.
Il Galles esaltato non smette, Roberts ruba un riciclo di Tuilagi, in ruck gli inglesi non entrano per il gate e sempre Biggar al 70' infila nuovi tre punti. Cominciano a scorrere i titoli di coda, gli ingressi di James Hook, Aaron Shingler, Scott Williams, Lloyd Williams son pura passerella.Flood trova un passaggio nei 22, Halfpenny lo spedisce indietro sui 5 metri, Phillips rischia il giallo per un fuorigioco sotto i pali: Care batte veloce ma getta via il pallone, tentando di servire al largo qualcuno dei suoi. Al 76' la mischia ospite capitola definitivamente, l'ultimo ad alzare bandiera bianca è Brown, placcato da Cuthbert dopo un tentativo in solitaria che prova ad essere imitato da Parling. Ma il treno del titolo - e del Grand Slam - è ormai passato, non si è fermato a Londra, è tornato a Cardiff.
30-3, con i gallesi vanno ben oltre il break che serviva per realizzare il sogno, che è prima di tutto quello di fare lo sgambetto ai nemici di sempre, poi quello di riscattare un 2012 da incubo, quello di inanellare un raro un back to back nel Sei Nazioni nonché, dulcis in fundo, di cancellare qualche nome straniero nelle note di Gatland per i Lions, ripristinandone alcuni scritti in penna rossa. Difficile a questo punto ignorare Halfpenny, Tipuric e Warburton, Cutberth e Adam Jones ma anche Hibbard, Faletau e altri. Se è vero come mormorano i rumors, che tre quarti della lista era già pronta, allora andrà rivista.
In settimana si sono ricordati precedenti, si sono fatte analisi, ci si è detti: potrebbe anche accadere, come potrebbe verificare benissimo il contrario. Ma dalla scorsa domenica pomeriggio al sabato del Millennium il vento è girato ed è lecito concludere che ci sia pure lo zampino italiano nell'esito finale del 6N, con la mente degli inglesi bacata da quel secondo tempo nella propria tana. Nei commenti di timbro inglese si sottolinea lo smarrimento totale di una squadra senza capo né coda, con un passaggio di Billy Twelvetrees che impatta sulla testa di Brown. Ecco, una tramvata.
Lancaster ha mantenuto una impostazione "rispettosa", tutta grinta e combattimento, votata come al solito a tener distanti i pericoli e a prendersi la paga coi piazzati; peccato per lui che come con l'Italia, la terza linea guidata da Robshaw con Wood fuori ruolo e pure integrata da Croft, abbia perso il confronto nel breakdown; la seconda linea pur guidata da un Parling sempre ispirato non ha cambiato le cose, mentre sulla prima linea è scesa la notte, a partire dal secondo Youngs per non dire di Marler, ma anche "l'amico" di Castro (si fa per dire) Dan Cole ha più scosso la testa e mormorato "bullshit" rivolto alle decisioni di Walsh che altro. Anche la corazzata Bismark venne affondata quando i motori smisero di girare full steam.
Cosa sia accaduto negli spogliatoi dei gallesi in giro per l'Europa, tra la prima uscita a testa bassa dal Millennium e questo ritorno trionfante, resta un bell'interrogativo. Si narrava di un gruppo che da Howley non traeva ispirazione. Il manager ha cambiato le carte, lasciando fuori Warburton nella trasferta a Parigi e pure contro l'Italia, reinserendolo a Edimburgo, passando i gradi di capitano a Ryan Jones e stavolta al prima evanescente Gethin Jenkins. responsabilizzandolo per bene ma non smuovendo il resto della formazione e mantenendo la fiducia a Biggar, che pure non piace del tutto a un pubblico abituato a venire incantato dai numero 10. La svolta forse è arrivata traendo ispirazione dal secondo tempo con l'Irlanda: meno "espansività" e più concretezza, meno classe e più sudore, il linea col gioco che la fa da padrone in questo Sei Nazioni, dove il possesso ti fa vincere solo se lo sai usare in modo dannatamente concreto, mai fine a se stesso. Han fatto le cose giuste ed eliminato i fronzoli: vedi foundation sulla base di tutto, la mischia, vedi anche esclusione del talentuoso James Hook, chiamato a gran voce da critica e pubblico dopo il primo passo falso. Sia come sia, il Galles è tornato e il resto è storia.