Sull’onda di alcuni successi del momento che puntavano sul coro come un elemento cardine di coinvolgimento della massa e di riconoscibilità melodica, per farvi capire a cosa mi riferisco ascoltate l’oh oh oh di Self Control di Raf oppure il laaa la la la laaaa la la la laaaa di Don’t you dei Simple Minds, noi come altri gruppi emergenti eravamo in cerca della formula migliore per trascinare il pubblico nei live, imprimere un tormentone melodico nella testa dei consumatori di hit e di marchiare indelebilmente l’opinione di fans e potenziali ascoltatori con melodie riproducibili con versi e quindi scevre tanto da testi potenzialmente identificativi, e conseguentemente subordinati alla componente soggettiva dell’individuo e alla sua maggiore o minore identificazione se non al completo rifiuto per la totale negazione contenutistica o simbolica delle parole quanto mi sono dimenticato il secondo termine di comparazione. Chiaro, no? Questo per diversi motivi: dalla scarsa dimestichezza con le liriche in italiano agli eventuali sotto-significati politici o comunque in grado di generare impegno in qualche modo. La pace, la redenzione, le tensioni sociali, la rivolta. Le canzonette sono solo quelle lì, appunto, che anche Bennato ha usato un naaaa na na nanna naaaa per cominciarla, rendersi inconfondibile e, di conseguenza, vendere più dischi. Siamo musicisti, mica scemi. Il coro o coretto per funzionare doveva quindi essere semplice e scazzato, come se si trattasse di un coro suo malgrado, nato per caso, non auto-determinatosi tale ma così proclamato dal pubblico pagante, un rito da consumare in comune tra la band sul palco e la gente sotto in grado di suggellare una vicinanza impossibile altrimenti. Perché poi il pubblico ti sgama, se componi un pezzo appositamente munito di coro per trascinare la folla, e volutamente la folla non solo non ti segue ma interrompe proprio la fiducia nei tuoi confronti. Te la sei giocata, bello. Quando invece il coretto sembra spontaneo il gioco e fatto, e può generare introiti di un certo livello. Ma dicevo che noi ci provavamo, ma non ci veniva nulla di utile. Ce n’era uno che però sembrava anticipare la disonestà intellettuale di pappananana pananana pappanaoooo panaooooo di Alive and Kicking, che oggettivamente non è solo uno dei pezzi più imbarazzanti dei Simple Minds ma di tutta la letteratura musicale universale globale dell’intero mondo mondiale. Una volta abbiamo persino azzardato un eeeehh ooooohh eh oooh dalle venature new romantic, alla Adam and the Ants per intenderci. Ma proprio non avevamo il fisico. E poi ci avreste visto sul palco con le luci rivolte sulla massa a guidare l’interazione? Ma fatemi il piacere. Sono cose che agli italiani proprio vengono male.
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