A volte, trascinati da una quotidianità frenetica e insensata, tendiamo a dimenticare l’essenziale. I giorni, gli attimi, i frammenti di quel tutto che costituisce la vita. Annacquiamo la nostra esistenza in futilità, senza mettere a fuoco immagini degne di essere salvate e archiviate nella cartella “Bellezza”. E così ci ritroviamo spesso senza nulla in mano, chiedendoci cosa abbiamo fatto di tutto quel tempo che ci era stato concesso. Qualche giorno fa, mia sorella mi ha chiesto di badare a suo figlio per un paio d’ore mentre lei sbrigava alcune commissioni. Riccardo ha otto mesi e una panza da futuro alcolista. Sorride sempre e spalanca i suoi occhioni scuri ogni volta che vede avvicinarsi la mia barba. Ha un destino da metallaro, me lo sento. Non trascorrevamo un po’ di tempo insieme da parecchio e guardandolo giocare tranquillo, forte di quella serenità ormai preclusa a noi adulti, ho cercato di fare mente locale su cosa mi avesse impedito di venirlo a trovare prima. Adesso è un piccolo ometto, sempre più consapevole dell’ambiente che lo circonda e dei soggetti con cui si relaziona. L’ultima volta, invece, era ancora poco più che un neonato. Cos’è successo da allora? È trascorso del tempo, naturalmente. In maniera obbligata e inconsapevole, a fatti si sono succeduti fatti, a minuti altri minuti e poi altri e altri ancora. Un album come Primitive And Deadly obbliga a bloccare questo flusso ininterrotto di eventi e a illuminare il momento che conta, quello che fa la differenza fra l’ordinario e lo straordinario. Ti stringe il braccio sulla soglia di casa, mentre esci verso un’altra giornata uguale a se stessa, e ti domanda: “Ehi amico, dove stai andando?”. E lo fa nella maniera più sorprendente, dilatando oltremodo l’ordinaria misura del tempo. Non che quest’aspetto rappresenti una sorpresa nell’opera degli Earth, anzi. Dylan Carlson ha sempre considerato l’orologio un oggetto sostanzialmente inutile e la sua carriera altro non è che una meticolosa destrutturazione di categorie temporali acquisite. Però in Primitive And Deadly si sente subito qualcosa di diverso e sorprendentemente fresco. L’iniziale Torn By The Fox Of The Crescent Moon suona oscura, ermetica, molto più cupa rispetto a ciò che le due parti di Angels Of Darkness, Demons Of Light avevano fatto intuire potesse diventare la nuova direzione musicale degli Earth. Ma è un fuoco di paglia. Già nella successiva There Is A Serpent Coming l’orizzonte si espande. Il sound viene spogliato in una polverosa epifania desertica da cui emerge la Voce per eccellenza, Mark Lanegan. Intendiamoci: Markone nostro, con l’ugola che si ritrova, potrebbe pure declamare l’elenco telefonico e i brividi scorrerebbero comunque copiosi lungo la schiena. Ma qui abbiamo a che fare con una struttura di brani priva di linee vocali da quasi due decenni (bisogna tornare indietro al sublime Pentastar: In The Style Of Demons del 1996) sulla quale viene innestato il contributo di uno dei personaggi cardine dell’intera scena di Joshua Tree. Roba da allineamento dei pianeti, come peraltro lascia intendere il meraviglioso artwork di Samantha Muljat.
P.S. Il 29 gennaio gli Earth suonano all’Init di Roma. Se non venite, vi meritate gli Avenged Sevenfold.