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Ebbene sì, nonostante tutto

Creato il 06 luglio 2020 da Annalife @Annalisa
Ebbene nonostante tuttopopolare, intricato, divertente

E così, ho ceduto alle sirene di Dicker. Nonostante abbia spesso trovato, nei suoi romanzi precedenti, motivi di critica, è anche vero che l’impressione lasciata dalle sue pagine, alla fine, è sempre stata quella di un gran divertimento.

Così, ho abbandonato il libro che stavo leggendo per il Circolo di Lettura, ho sforato il budget concesso per l’acquisto di nuovi libri, ho interrotto il lavoro che dovrei consegnare presto, ho scaricato l’e-book e ho iniziato la lettura.

L’andamento iniziale è lento, rispetto ai precedenti: non esiste infatti soltanto la storia della famosa camera 22 ma anche quella personale di un certo scrittore che si chiama Joël, guarda un po’, del quale si devono seguire i ricordi, le vicende letterarie e, a tratti, quelle amorose; inoltre, i ricordi sono di solito intermezzi di omaggio e rimpianto per l’editore (vero) del (vero) Joël Dicker, che si chiamava de Fallois ed è morto nel 2018.

Su questi intermezzi, evidentemente necessari a fissarne il ricordo prima che diventasse opaco, spendo soltanto quattro parole: comprendo, davvero, non apprezzo. Voglio dire che, dopo la commossa dedica iniziale, e alcuni gustosi aneddoti sull’editore mentore, le parti agiografiche sono spesso uguali a sé stesse (e, se vogliamo, per nulla funzionali alla struttura della storia). Capisco che così sembro buttare in un angolo tutto il dolore che, è evidente, l’autore ha provato, ma giuro che (mentre mi annoio un po’ alla lettura) ammiro la capacità di Dicker di filtrare le emozioni provate attribuendole al suo alter ego Joël e osservandole dall’esterno. Nello stesso tempo, profittando degli intermezzi con l’editore, Dicker affronta un tema che gli è congeniale e al quale ha dedicato tempo e pagine anche nei romanzi precedenti: quello della scrittura, di come e perché si scrive, dell’importanza dello scrivere e così via. Tuttavia, questa volta mi è venuto da dire: basta, ricevuto, editore grand’uomo, eccezionale, bravo, buono, spiritoso, ho capito, adesso continuiamo con la storia.

Un’altra cosa che non mi è piaciuta è stato il personaggio femminile che affianca Joël durante la ricerca di disvelamento dell’enigma: benché funga da stimolo, sprone (fin troppo, alle volte…), segretaria, ricercatrice, compagna di viaggio e di pranzi, e persino, forse, qualcosa di più, a me è risultata un po’ stucchevole e fastidiosa. Insomma, tanto di cappello a Joël che invece ha sopportato pazientemente la sua invadenza ed è stato con lei gentilissimo, al punto da seguire i suoi suggerimenti e da scriverci un libro (questo libro, appunto, così che alla fine anche l’antipatica e leziosa Scarlett acquista una sua ragione di vita).

Per il resto, una cinquantina di capitoli inquadrano l’enigma, con continui piacevoli (piacevoli per me, perché altri, ohibò, ne parlano con orrore) salti temporali, corse avanti e indietro nel tempo, ricerche e interviste ai personaggi di una vecchia storia, che viene costruita un pezzettino alla volta grazie ai frammentari ricordi dei protagonisti, che sta allo scrittore del romanzo rimettere insieme. Che poi lo scrittore del romanzo faccia quello che lo scrittore reale ha fatto realizzando il libro, non è altro che uno dei molti giochi di specchi che, se fossi colta, chiamerei una continua, divertente, ben fatta mise en abyme.

Tanto più che, dal capitolo 52, incominciano i fuochi artificiali.

Le rivelazioni si susseguono alle sorprese, e ancora una volta leggo sentendomi di fianco Stanislao Moulinsky in uno dei suoi più riusciti travestimenti (letteralmente, stavolta). Dicker fa poi una cosa che gli è sempre riuscita bene: tiene in mano decine di redini e le manovra con maestria, per farci andare dove vuole lui, finché, convinti di aver capito tutto, scopriamo che non è così, e che le cose sono ancora diverse, le persone sono diverse, la storia non è quella che ci è apparsa fino a quel momento ma va vista da una diversa angolazione e così via e così via. E pazienza se, a un certo punto, il disvelamento di tutto ciò che c’è sotto all’intreccio e agli avvenimenti diventa un po’ forzato e non del tutto credibile: nella concitazione degli avvenimenti e nella velocità della lettura uno se lo dimentica.

È chiaro che, con un libro così, anche le sviste, che mi aspettavo perché ne ho sempre trovate nelle precedenti opere di Dicker, non fanno altro che aggiungere divertimento: la pediatra “di madre inglese e padre avvocato” (così che ti chiedi se avvocato sia diventato una nazionalità o inglese un lavoro); una relazione amorosa che dura in tutto due mesi, cioè pochissimo, eppure la ragazza lo pianta lì furente perché lui si è dimenticato il suo (di lei) compleanno. Roba che anch’io potrei arrabbiarmi con il marito per questo, ma dopo vent’anni, perché dopo due mesi dalla conoscenza forse non ci eravamo ancora scambiati i dati anagrafici precisi. E ancora: un personaggio che vuole troncare con un altro, perciò l’altro scompare e poi Primo personaggio si chiede come mai non le arrivano notizie di Secondo (hai troncato, ciccia, non lo sai?), ma forse Secondo è scomparso perché lunedì gli aveva detto che voleva troncare (ah, vedi che lo sai?), ma Primo personaggio aveva detto di troncare “mentre non ci pensava affatto”. Ah, bon, ecco.

Alcune conversazioni sono così improbabili che mi fanno (di nuovo) ridere. Come quando un personaggio Terzo dice: “Sapete, amavo molto Personaggio Tal dei Tali”, e lo scrittore fittizio corregge subito (“mi permisi di precisare”): “La vicina ci ha raccontato che lo amava e basta”.

Eh? ‘N che senso, scusi?

Alcuni personaggi sono un po’ ondivaghi, e vediamo se riesco a farmi capire senza rivelare nulla della trama: quando si scopre che Tizio forse ha fatto una cosa perfetta, qualcuno osserva: tutto ciò “esige un’intelligenza, un talento e una presenza di spirito fuori del comune. Non credo che Tizio ne fosse capace”. E in effetti poi il Perfetto è Caio, anzi, no, alla fine (forse) è Sempronio, ma intanto Tizio e Caio si sono comportati, alternativamente, come fossero 007 e Forrest Gump e Biancaneve, così che non si capisce se quando facevano gli 007 erano sotto acidi o quando erano Biancaneve sotto tranquillanti potenti.

Poi, vabbè, ci sono alcune perle del tipo: “Il posto era deserto. Chiamò: nessuna risposta. Evidentemente suo padre non era lì” (oh, really?).

Infine, ci sono alcune dolenti note per le quali mi piacerebbe leggere il testo in originale, onde attribuire a Cesare quel che è di Joël, e al traduttore o curatore quel che è del traduttore.

Primo, qualche congiuntivo perso nei meandri dell’intreccio:

Ho l’impressione che più il suo libro va avanti, meno riesco a vederla”, dove metterei un bel “riesca”. “Pensava che fossi stato sgarbato (bene il ‘fossi’) e che era lui a…”, eh, no, qui ci vuole ancora un “e che fosse lui a…”

Secondo, punti interrogativi come se piovesse:

Ho sentito che sta facendo un tirocinio a Ginevra?”, al che mi verrebbe da rispondere: non so, lo ha sentito? E ancora: “Oh, non dirmi che sei geloso?” o “Pare che sia lei il nuovo direttore?” (non lo so, pare che lo sia? Boh).

Mi è venuto il dubbio che nelle altre lingue quelle che per noi sono esclamazioni o affermazioni magari debbano essere espresse interrogativamente; dovrò fare ricerche. Nel frattempo, sono fastidiose.

Ma, visto che si parla di scrittura, giusto anche sottolineare la capacità di Dicker di utilizzare, oltre a una trama complessa e a due linee temporali diverse per sviluppare la trama, situazioni e linguaggio che hanno un profumo di antico, di drammone.

Provate a leggere: “Ricordo la torrida giornata di fine luglio in cui tutto ebbe inizio”, e già sentite la voce profonda di un attorone che vi porta nella Parigi soffocante dove si svolgono gli avvenimenti.

O la descrizione di due signore “accomodate sul divanetto di un tavolo in vista, tutte impellicciate e ingioiellate”, e vi ritrovate nei giochi di bambine di millemila anni fa. “I sensi all’erta, sentivano crescere l’eccitazione nell’attesa dell’incontro”, o “viveva in una casa in riva al mare, dove tubava con sua moglie”, sono altri due esempi di questo profumo di retrò. Piace? Non piace? È comunque cosa che l’autore ha scelto di utilizzare e sa farlo con sicurezza.

Così, tanto di cappello per questo ex-giovanotto che sa maneggiare un’altra trama complicata. E se diventa inverosimile, sospendiamo l’incredulità e lasciamo che Dicker ci porti dove vuole, mentre crea un tipico drammone popolare con sicurezza e, nonostante tutto, ci porta all’ultima pagina in un lampo e ci fa chiudere il libro con un sorriso.


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