Sul fattoquotidiano.it ieri ho segnalato la resistenza messa in atto dagli autori veneziani contro la chiusura delle librerie. Qui il post originale.
*
Sabato scorso ero a Milano e ho incontrato Anna Toscano. Anna è una poetessa veneziana, l’ho conosciuta a Roma qualche mese fa alla fiera della piccola editoria, ho letto la sua ultima raccolta di poesie, mi è piaciuta e l’ho recensita. Sabato, quando ci siamo visti, la prima cosa che le ho chiesto è stato: “Che succede alle librerie di Venezia?” Gliel’ho chiesto perché il giorno prima avevo ascoltato a Fahrenheit, il programma di Radio 3 che si occupa di libri, un lungo confronto tra librai veneziani sull’ecatombe di librerie che sta colpendo la città.
Anna mi ha spiegato che la morte di Venezia è anche e principalmente una morte culturale, che la chiusura delle librerie (quattordici negli ultimi tempi e almeno due a rischio immediato – vedi mappa a fondo pagina) non è altro che l’effetto dell’asfissia di lungo corso a cui da decenni è sottoposta la città, strangolata dal boa constrictor del turismo di massa. E mi ha detto soprattutto che, per contrastare tutto questo, lei e gli altri autori attivi a Venezia – un centinaio di nomi in tutto – hanno deciso di organizzare una forma di resistenza.
Così la settimana scorsa si sono incontrati e hanno tenuto una conferenza nella Biblioteca Nazionale Marciana (la conferenza si può rivedere qui) per sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema, sottoscrivendo un documento unificato in cui, tra le altre cose, è scritto che a Venezia “fra poco non sarà più prevista la residenza né l’esistenza”, perché “gli abitanti stanno diventando un fastidioso ostacolo al fondamentalismo turistico”.
Il documento contiene dodici richieste rivolte al mondo della politica, ai cittadini e ai lettori, in cui si indicano alcune possibili soluzioni; suggerimenti che a me sono apparsi quanto mai opportuni, e non solo per contrastare la situazione di Venezia, ma anche per estendere su scala nazionale la lotta contro l’analfabetismo di ritorno a cui ci riduce una certa logica barbarica del profitto, e ripensare così il rapporto tra le librerie e le città.