Prima di cominciare il nostro discorso faccio una premessa: i popoli palestinese e basco hanno un’identità molto forte, una coscienza del propri essere un corpo unico, che consente loro di portare avanti questioni e richieste di tipo indipendentista, cioè di aspirare alla istituzione di una Nazione, rispettivamente la Palestina e il Paese Basco, separata da quelle in cui i due popoli vivono adesso, quindi Israele e la Spagna. Per quanto riguarda invece i Napoletani, da intendersi non come gli abitanti della città di Napoli, bensì quali persone che abitano il territorio dell’ex Regno delle Due Sicilie, questa identità è andata nel tempo venendo meno, o meglio è mutata, in quanto le genti del Mezzogiorno sentono di appartenere a una Terra, il Sud, che è del tutto peculiare, che ha tradizioni antiche e particolari, una cultura a sé stante, fattori però che non sono sufficienti a creare i presupposti per la richiesta dell’indipendenza o della creazione di una macroregione che continui a fare parte dell’Italia, ma che goda di ampia autonomia. Una perdità/mutamento di identità che deriva da vari fattori, tra i quali sicuramente la soppressione della realtà storica e dell’orgoglio, oltre all’insabbiamento di tutti i fatti e misfatti che riguardano l’annessione del Sud al Piemonte, opportunamente censurati dai libri scolastici.
L’elemento comune tra i tre popoli, è a mio avviso da ravvisare nel trattamento a questi riservato da parte dei Media. I Palestinesi, i Baschi e i Napoletani godono infatti un trattamento molto particolare, perché vengono demonizzati e disprezzati, inducendo l’opinione pubblica globale a ritenere che si tratti di popoli violenti, culturalmente arretrati, un pericolo serio ed attuale per le pacifiche nazioni che li accolgono. La Palestina, prima che negli anni immediatamente successivi al termine della Seconda Guerra Mondiale decidessero per la creazione dello Stato di Israele, fregandosene del volere della popolazione araba, quella più consistente, il cui ricorso venne rigettato dalla Corte Internazionale di Giustizia, era una regione in cui convivevano pacificamente arabi ed ebrei, nel rispetto reciproco, finché gli interessi economici e militari degli Stati Uniti, e conseguentemente della Gran Bretagna e delle altre nazioni europee che recitarono soltanto un ruolo decisionale, dato che furono e sono ancora oggi gli USA i burattinai, non premettero per la costituzione di Israele, affidata ai Sionisti, il partito ebraico di estrema destra con ideologia assimilabile a quella dei nazisti, di cui ripetono quotidianamente e da decenni gli orrori (una precisazione: non sto negando la Shoah, sto affermando solo che i Sionisti si fanno ai Palestinesi quello che i nazisti fecero agli ebrei, agli slavi, e così via). I Palestinesi sono identificati comunemente con i terroristi islamici, in particolare con l’organizzazione di Hamas, anche se non esplicitamente: la storia della nascita di Israele non viene raccontata, i media mischiano spesso e volentieri palestinesi, arabi e terroristi, consapevolmente o per ignoranza, e così l’idea comune è che i Palestinesi o gli arabi in generali siano in maggioranza estremisti, intolleranti, violenti, assassini. Al contrario, non viene raccontato che Israele ha ridotto i Palestinesi a vivere nelle riserve della Striscia di Gaza, in condizioni igieniche, sanitarie ed economiche spaventose, che li priva dell’energia elettrica, che li priva dell’acqua, e ricordo che quella è una regione dove non piove quasi mai e il 90% delle acque è inutilizzabile perché avvelenata.
Circa la questione basca, ho già avuto modo di spiegare come i baschi furono abbandonati dagli Alleati appena finita la Seconda Guerra Mondiale, inaugurando per essi un periodo di forti abusi da parte del regime franchista: fu represso ogni residuo di autonomia, furono dichiarate fuorilegge la Lingua Basca, la cultura basca e perfino i nomi e i cognomi baschi, furono poste in atto torture, arresti arbitrari, omicidi e persecuzioni violente contro gli oppositori, al punto che il clero basco ha parlato di genocidio. Con la morte di Franco e la salita al trono di Juan Carlos, per i baschi la vita peggiorò ulteriormente: nella regione venne incrementata la presenza di forze di polizia, si proseguì con la censura, i controlli asfissianti, gli arresti e gli abusi. Nel Dicembre del ’78 il voto popolare approvò la Costituzione, ma il 70% dei Baschi votò contro perché non prevede il diritto all’autodeterminazione, mentre nel ’79 grazie a brogli elettorali del governo madrileno passò il referendum per lo statuto di autonomia dei Paesi Baschi. Come i Palestinesi, anche i Baschi subiscono campagne mediatiche diffamatorie che culminano nell’identificarli con l’ETA, Euskadi Ta Askatasuna (Popolo Basco e Libertà), l’organizzazione ormai sciolta che aveva come obiettivo l’indipendenza del Paese Basco, attraverso la lotta armata. Ancora oggi parecchi baschi vengono catturati, imprigionati e torturati con l’accusa di essere terroristi, ma spesso viene fuori che costoro non hanno alcun collegamento con l’ETA. Per una trattazione più ampia della questione basca, comunque, vi rimando a un articolo più approfondito raggiungibile cliccando qui.
Ikurrina, la bandiera basca disegnata da Sabino Arana
Parlando di Napoletani il discorso si fa un po’ diverso, perché i soprusi operati dal Governo Italiano, seppur palesi, non hanno il giusto risalto proprio perché alla gente del Sud manca l’identità, e i vari abusi vengono percepiti singolarmente e non nella loro totalità, non come un metodo sistematico di agire. In tal modo i crimini messi in atto a Gela, dove la percentuale di neonati nati con malformazioni è superiore di almeno sei volte alla media nazionale, le estrazioni petrolifere in Basilicata causa di tumori, le desiderate trivellazioni in Irpinia, il disastro Ilva di Taranto, la Terra dei Fuochi, i rifiuti tossici in e sotterrati in Calabria (un disastro forse maggiore di quello in Campania), i dodici incidenti nucleari taciuti in Basilicata, la carenza di ogni tipo di infrastruttura nonostante le potenzialità del territorio, e tanto altro, fanno parte di un disegno più complesso, quello di sfruttare il Mezzogiorno alla stregua di una colonia interna, sulla pelle delle persone. A ciò si aggiungono falsità come quella secondo cui il Nord traina il Sud parassita, quando invece il 94% dei soldi che ivi si spendono vanno al Nord, quando oltre il 90% dei fondi della Cassa per il Mezzogiorno sono stati regalati alle grandi aziende del Nord (che poi se ne vanno all’estero, vedi FIAT); la diffusione dello stereotipo che fa corrispondere al meridionale il soggetto rozzo, ignorante, malavitoso; il risalto che si dà alle notizie di cronaca che riguardano il Sud, mentre si tace che le città del Nord sono più pericolose rispetto, ad esempio, a Napoli, e si parla appena degli scandali economici settentrionali (per esempio, Expo, Mose, fondi neri della Lega Nord, Rimborsopoli nel Piemonte del leghista Cota). Con ciò non voglio demonizzare tutto ciò che non sia Sud, né voglio affermare l’onestà della classe dirigente meridionale, la quale, anzi, è corrotta ed è la principale responsabile della rovina del Mezzogiorno, ma solo rilevare la differenza di trattamento a scapito dei Napoletani.