"Gentile cliente,come Le è noto, di recente, abbiamo provveduto ad effettuare una revisione dei sui affidamenti in essere presso la nostra banca. Dalla documentazione contabile che ci avete reso disponibile, emergono delle incongruenze che non ci consentono di procedere al rinnovo degli affidamenti in essere. Pertanto, La preghiamo di recarsi con cortese sollecitudine presso i nostri uffici per comunicazioni che La riguardano. Cordiali saluti."Subito siete presi dal panico e vi chiederete cosa diavolo sta accadendo con la vostra banca, avendo ricevuto questa comunicazione. Sta accadendo che, con unlinguaggio più che altro tipico di un diplomatico di qualche ambasciata britannica sparsa per il mondo, la vostra banca vi sta comunicando che è in procinto di rubinetti alla vostra azienda: niente più affidamenti, niente più fidi promiscui, niente più anticipo fatture o salvo buon fine. Niente più di niente. La vostra azienda si ritroverà presto a dover rientrare dai fidi utilizzati e proseguire con le proprie forze, sempre che ci si riesca. Cosa abbastanza remota in questo momento. A meno che, con i vostri capitali (liquidi) e ammesso che ne disponiate, vi sostituite alla banca.
Ma perché la banca interviene proprio ora che ne avete più bisogno rispetto ad altri periodi? E perché non piace più quello che andava benissimo fino a poco tempo fa? A questo interrogativo si può rispondere argomentando su due ordini di problemi che, in realtà, costituiscono le due facce della stessa medaglia: la crisi economica. In realtà, la crisi sta mettendo a dura prova la qualità degli attivi bancari idonei a sostenere la massa di finanziamenti che la banca ha concesso e concede alla propria clientela. Tanto più gli attivi diminuiscono di valore e qualità, tanto più la banca dovrà ridurre i propri impieghi presso la propria clientela. Il secondo motivo per il quale la banca sta rientrando dalla sua esposizione è che, verosimilmente, vede ancora ben lontana la ripresa economia e teme un ulteriore contrazione dell'attività tale da compromettere la solvibilità delle aziende creditrici. O, in modo molto più semplice, non crede più alla profittabilità del vostro business, ammesso che lo conosca.
Oh, per carità! Apparentemente, nulla di illegittimo da parte della banca che è certamente autonoma e libera di concedere affidamenti a quelle iniziative imprenditoriali e che ritiene siano meritevoli di attenzione dal parte del mondo bancario, ammesso che siano sempre in grado di cogliere la bontà o meno dell’iniziativa imprenditoriale; del che, nutro forti dubbi. Così come non c'è nulla di illegittimo ( o meglio non dovrebbe esserci) se la banca, dopo approfondite analisi, che non possono certamente esaurirsi nella sterile lettura di un bilancio negativo o poco più, decide di rientrare dalla propria esposizione e vi concede gli strumenti e i tempi necessari per poterlo fare.
Ma le cose non procedono sempre in questa direzione e la lettera che state ricevendo è solo l'ultimo atto di un rapporto già compromesso da tempo, e che ha visto la vostra azienda vittima dello strapotere e dell'arroganza bancaria. Al di la del ben più noto tema dell'anatocismo bancario, tema non oggetto di questo articolo, ciò che ci si propone , è analizzare in che modo le banche stanno rientrando delle proprie esposizioni nei confronti delle piccole imprese, come stanno assumendo garanzie a difesa delle proprie esposizioni. Di solito, lo stato di necessità di un azienda, pone la banca in una posizione di supremazia contrattuale e “comportamentale” che “legittima” in maniera impropria ed inopportuna la banca ad abusare della propria posizione, contravvenendo reiteratamente a numerose regole e leggi, anche di buon senso. Ma come esercitano le banche questo strapotere che si riflette poi sulla vita dell’impresa fino a comprometterne l’esistenza?
Il tema delle condizioni bancarie praticate e del relativo inasprimento, costituisce l’esempio più immediato. Ma questo aspetto, talvolta, oltre a nascondere profili di responsabilità a carico della banca, può essere giustificato da un aumento del costo della raccolta bancaria: se la banca spende di più per attrarre depositi dai risparmiatori, ne consegue che pretenderà interessi via via maggiori per le linee di credito concessi alla propria clientela. Nella crisi attuale, quanto affermato, può essere parzialmente smentito considerando che le banche italiane sono state destinatarie di oltre 200 miliardi di euro di prestiti triennali da parte della BCE al tasso agevolato dell’1%. E quindi, l’aumento delle condizioni praticate alla clientela non potrebbero essere giustificate da un maggior costo del funding. Come noto, queste risorse non sono state girate all’economia reale e, pertanto, l’inasprimento delle condizioni bancarie, può trovare giustificazione nella necessità dei bilanci bancari di produrre ricavi via via maggiori per poter mitigare i pessimi risultati di esercizio.
La crisi ha fatto emergere, talvolta in maniera cronica, le difficoltà nella riscossione dei rispettivi crediti commerciali da parte delle aziende. Ecco quindi che trattandosi di crediti talvolta anticipati dal sistema bancario in forma di anticipo fatture o anticipo effetti, ai primi insoluti, le varie banche hanno posto rimedio utilizzando delle pratiche scorrette, a parer di scrive, che hanno finito per compromettere l’esistenza delle aziende o, nella migliore delle ipotesi, ne hanno limitato fortemente la redditività già contratta per effetto della crisi. Quindi il sistema bancario ha avviato in essere una serie di attività e procedure (del tutto censurabili) con il fine di abbattere i rischi creditizi, ma infliggendo così un duro colpo alle aziende più deboli e maggiormente provate da questa crisi. Proviamo a fare qualche esempio.Una pratica molto diffusa nel sistema bancario è quella di indurre le aziende ad accantonare una percentuale calcolata sul netto dell’anticipo effetti, in modo da costituire dei fondi facilmente aggredibili in caso di dissesto dell’azienda e, al tempo stesso, determinare una raccolta bancaria remunerata a tassi prossimi allo zero. Esempio: un anticipo fatture di 100.000 euro, la banca anticipa circa l’80%; sulla parte anticipata calcola una percentuale (magari tra il 3, il 10, 15% o addirittura oltre) e destina questa somma alla costituzione di un fondo, sottraendo tali risorse dalla disponibilità dell’impresa. Un'altra pratica a molto diffusa è quella di richiedere asset a garanzia delle propria esposizione in forma di iscrizione ipotecarie, pegno di titoli e/o garanzie fidejussorie. In questi ultimi casi, sembra che vada per la maggiore richiedere l’intervento di un garante terzo: un confidi, disponibile a garantire buona parte delle esposizioni bancarie anche in forma di scoperto di conto e/o anticipi fatture ed effetti. In questa ipotesi, l’intervento del confidi consente alla banca di mantenere comunque una massa inalterata di impieghi e quindi, invariati saranno ricavi percepiti in termini di interessi, ma abbattendone notevolmente i rischi che verranno ribaltati sul confidi per effetto della garanzia prestata. E’ evidente che questo impatta notevolmente sugli oneri finanziari a carico delle aziende che si troveranno a pagare, oltre gli interessi passivi e le commissioni bancarie già a livelli altissimi, anche gli oneri per il rilascio della garanzia da parte del confidi e, talvolta, anche a costituire dei depositi cauzionali presso questi ultimi. Ciò non fa altro che comprimere ulteriormente la redditività aziendale e impegnando risorse finanziarie, creano apparenti benefici solo nel breve termine alla gestione finanziaria aziendale grazie ad un apparente aumento di liquidità che ben presto verrà drenata per effetto degli oneri bancari sostenuti.
Nei casi ancor più clamorosi, talvolta, la banca nel concedere finanziamenti, oltre a pretendere la garanzia del confidi, impone all’imprenditore anche la costituzione di pegni su titoli della stessa banca a garanzia dell’esposizione. Così ad esempio se un imprenditore necessita di un finanziamento di 100.000 euro per acquistare un macchinario, la banca si renderà disponibile a concedere addirittura un prestito superiore (magari 150.000) in modo che le risorse eccessive potranno essere messe a garanzia e confluire in nuova raccolta. Esempio: prestito 150 mila euro di cui 50 mila a garanzia con pegno su obbligazioni bancarie della stessa banca, e i restanti 100 garantiti per la metà dall’intervento del confidi. In questo modo la banca potrà avere ricavi maggiori per effetto di maggiori interessi calcolati su un prestito superiore al fabbisogno aziendale, ma con rischi contenuti a 1/3 rispetto alla massa concessa a prestito. Di contro l’imprenditore dovrà corrispondere interessi passivi anche sulla somma di denaro posta a garanzia per la sola compiacenza bancaria. Senza poi trascurare che, in questo caso, la banca potrà contare anche su una raccolta positiva remunerata a bassissimo costo e soprattutto immobilizzata per tutta la durata del prestito.
Ma l’espressione della massima illegalità dell’operatività bancaria, viene posta in essere proprio quando, ad insaputa del cliente, la banca distrae dei fondi operando delle compensazioni tra i diversi rapporti attivi o passivi; mettendo, dall’oggi al domani, sul lastrico le imprese. E’ il caso in cui vengono presentati degli effetti allo sconto e la banca si appropria del netto ricavo magari per ridurre l’esposizione di qualche altro affidamento e/o rapporto di c/c con saldi passivi. In altre parole, in questo caso, commette un vero e proprio abuso che si sostanzia proprio nell’appropriarsi di fondi derivanti da una operazione di sconto, per utilizzarli a riduzione o chiusura di altro rapporto passivo riconducibile all’impresa. E’ evidente che questo costituisce, talvolta, il colpo di grazia per l’impresa, che si troverà con un deficit improvviso di liquidità che porrà l’azienda in stato di insolvenza nei confronti di fornitori, dipendenti, fisco e, nei casi più disperati, anche del sistema bancario stesso. Si pensi ad esempio allo sconto di effetti con il quale l’imprenditore dovrà provvedere ad utilizzare il netto ricavo per far fronte ai propri impegni. Ne deriverà che i fornitori non potranno essere pagati e quindi, questi ultimi, non saranno più disposti a rifornire l’impresa. Analogo ragionamento può esser osservato per i propri dipendenti e per il fisco. E nella ipotesi di rate di finanziamento in scadenza, anche queste non potranno essere onorate facendo così scattare (nel caso diverse rate sospese) le segnalazioni di rito alle varie CENTRALI RISCHI. Ma in questo caso, la cosa più aberrante e sorprendete è dover constatare che le segnalazioni vengono puntualmente recepite dagli stessi organi deputati al controllo sull’attività bancaria o a sue consociate, che assumono la segnalazione senza neanche porsi il dubbio sull’operato della banca e sulla legittimità che ne ha determinato la segnalazione. In questo caso, di colpo, tutto il sistema bancario si avventerà sull’impresa prosciugandone le disponibilità e condannandola al fallimento.
In conclusione, quello che, talvolta, il sistema bancario pone in essere in queste operazioni, costituisce un vero e proprio abuso di posizione dominante nei confronti della clientela che ne subisce tutte le conseguenza. Nella migliore delle ipotesi, il danno è circoscritto (si fa per dire) a dover sostenere maggiori costi e quindi a subire un abbattimento della competitività e della redditività. In altri casi, tali modus operandi, determinano un vero e proprio dissesto delle imprese e la contestuale morte. L’esperienza empirica emersa in questa crisi, ha fatto emergere molte criticità, problematiche e contraddizioni che affliggono il sistema bancario e i casi appena citati ne costituiscono alcuni esempi clamorosi che dovrebbero imporre delle serie riflessioni e una riformulazione delle regole comportamentali, affinché si possano reprimere ed estirpare simili comportamenti che, oltre a danneggiare la credibilità stessa del sistema bancario, determinano seri rischi per la sopravvivenza del tessuto delle piccole imprese, un tempo spina dorsale dell’economia di questo Paese.