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Il GREXIT porterebbe alla fine dell’euro?

Creato il 26 febbraio 2015 da Keynesblog @keynesblog

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Molti commentatori si stanno interrogando in questi giorni sui possibili effetti di una uscita della Grecia dall’euro e un suo conseguente default sul debito pubblico (necessario a causa del fatto che esso è sotto legge estera).

Secondo alcuni, tale evento non comporterebbe la fine della moneta unica. Costoro richiamano l’attenzione sul fatto che non si scatenerebbe un effetto contagio sul sistema bancario europeo (come sarebbe avvenuto nel 2010), poiché il debito pubblico greco è oggi quasi totalmente in mano alle “istituzioni” (fondo salvastati EFSF – vale a dire gli stati dell’eurozona, BCE e FMI).  La prova sarebbe costituita dal mancato panico sui mercati finanziari in occasione delle trattative tra il nuovo governo greco e la (e) Troika.

Questo ragionamento rischia però di sottovalutare la fragilità dell’eurozona.

Come abbiamo spiegato, l’euro esiste ancora perché la Banca Centrale Europea è intervenuta spendendo la sua credibilità attraverso il programma OMT (e ora il Quantitative Easing). A ciò si aggiunge il funzionamento automatico del sistema Target2 che ha finanziato i deficit dei paesi meridionali nonostante il blocco del credito interbancario all’interno dell’eurozona.

La BCE ha quindi, come dicevamo, speso la sua credibilità di banca centrale e prestatore di ultima istanza dell’eurozona ed è proprio tale credibilità che ha tenuto in piedi l’euro. Quando la BCE compra un titolo pubblico, il segnale che viene dato ai mercati è che tale titolo – e quindi lo stato debitore – è indirettamente “garantito” dalla stessa BCE. E’ per questo motivo che il solo annuncio dell’OMT ha ridotto gli spread tra i titoli del debito sovrano dei paesi dell’eurozona.

Il problema è che un default sul debito e sui saldi T2 da parte della Grecia darebbe ai mercati il segnale opposto. Una parte del debito greco è infatti posseduta proprio dalla BCE.

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Se la Banca Centrale Europea subisse una perdita evitando di agire al fine di “salvare” il suo debitore (la Grecia) e tenerlo nell’eurozona, i mercati saprebbero immediatamente che i titoli in pancia della BCE (anche i nostri) non sono implicitamente garantiti. In altri termini, se si lascia fallire la Grecia, i mercati inizierebbero a chiedersi “chi è il prossimo che verrà lasciato fallire/uscire?”, esattamente come accadde nel 2008 con il mancato salvataggio di Lehman Brothers. Ciò potrebbe portare ad una nuova crisi dei debiti sovrani (e a un nuovo credit crunch), ma con la differenza che stavolta la BCE avrebbe già fatto fallire e uscire uno stato di cui era creditrice, e pertanto i mercati potrebbero perdere fiducia nella “fungibilità” della moneta unica e dei suoi collaterali, potenzialmente avviando il processo di dissoluzione incontrollata di cui abbiamo parlato ieri.

Questo non vale solo per la Grecia, ma a maggior ragione per gli altri paesi meridionali. Mario Draghi lo ha spiegato ad Helsinki nel novembre scorso (si noti che la Finlandia è uno dei paesi che vedrebbe con favore il GREXIT). Ciò che Draghi fa in questo intervento è un chiarimento del suo famoso discorso di Londra nel 2012, quello del whatever it takes to preverve the euro che, dopo Helsinki, diventa “faremo di tutto per preservare l’eurozona“:

…se vi sono parti dell’area dell’euro che si trovano in condizioni peggiori partecipando all’unione, potrebbe sorgere il dubbio che alla fine si ritrovino a doverla lasciare. E se un paese può potenzialmente uscire dall’unione monetaria si crea un precedente ripetibile per tutti gli altri. Questa situazione a sua volta minerebbe la fungibilità della moneta, in quanto i depositi bancari e gli altri contratti finanziari in un qualsiasi paese sarebbero soggetti al rischio di ridenominazione.

Non è teoria: noi tutti abbiamo assistito direttamente, e a costi considerevoli in termini di welfare e occupazione, a come i timori di un’uscita dall’area dell’euro e di una ridenominazione valutaria abbiano causato una frammentazione delle nostre economie.

Dovrebbe quindi essere evidente che il successo dell’unione monetaria in qualsiasi sua parte dipende dal suo successo in ogni sua parte. L’euro è – e deve essere – irrevocabile in tutti gli Stati membri che l’hanno adottato, non solo perché è scritto nei trattati, ma perché senza irrevocabilità non può esistere una moneta realmente unica.

Il presidente della BCE si riferiva solo all’ipotesi dell’uscita dall’euro di un paese ma, per quanto detto, persino il solo default “accidentale” di un paese all’interno dell’eurozona potrebbe innescare i medesimi processi.


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