In questi mesi si è fatto un gran parlare dell’obbligo per gli Stati della zona euro di collocare i titoli del debito pubblico presso i privati. La regola, di fatto, impedisce che le banche centrali dei singoli Stati acquistino i titoli del debito pubblico e dunque ‘trucchino’ le aste, comunicando una solidità finanziaria che magari non possiedono, tenendo peraltro a freno i tassi di interesse. Un tempo, quando la politica monetaria era sotto la sovranità di ogni singolo Stato, la pratica era invece frequente. Impediva la speculazione, seppure rendeva i titoli pubblici poco appetibili per gli investitori privati di grandi dimensioni. Nel contempo falsava — e non poco — lo stato debitorio del paese interessato.
Con l’entrata in vigore dell’euro e dunque dei trattati UE che lo regolano, è diventata una pratica vietata. Gli Stati, per mezzo delle loro banche centrali, non possono più acquistare i propri titoli obbligazionari. Se da una parte questo meccanismo garantisce maggiore trasparenza circa lo stato debitorio di un paese, dall’altra espone gli Stati nazionali alla speculazione e condiziona non poco le loro politiche, in quanto costretti — per garantire la solvibilità — a intraprendere politiche economiche di grande rigore e sacrificio, che spesso contrastano con la teologia della spesa pubblica che sostiene lo Stato sociale.
Ciò detto, che la solvibilità di uno Stato sia un fattore positivo è fuor di dubbio, ma che questa solvibilità debba essere raggiunta per salvaguardare gli investimenti speculativi dei grandi potentati finanziari mondiali, è un fattore meno positivo. Soprattutto perché di mezzo ci va la stessa democrazia. Abbiamo visto cosa è accaduto nel nostro paese. La speculazione sui titoli pubblici italiani ha comportato una sospensione della democrazia in favore di un governo tecnico, investito del compito di recuperare la credibilità finanziaria dell’Italia. E che cosa si intenda per credibilità finanziaria, possiamo ben immaginarlo.
Ora, giusto o sbagliato che sia questo modo di procedere, e lasciando ad altri articoli la questione, vi voglio segnalare l’anomalia tedesca. Più su ho detto che tutti gli Stati in zona euro hanno l’obbligo di collocare i propri titoli sovrani presso gli investitori privati. Ciononostante, la Germania, sembra sia riuscita ad aggirare in un qualche modo il divieto. Cercherò — per quanto siano limitate le mie competenze in materia di finanza ed economia — di spiegarvi quello che hanno scoperto gli analisti finanziari.
Tradotto dall’economichese (lingua ostica quanto il giuridichese) e premettendo che la Bundesbank opera per conto dell’Agenzia del debito tedesca (l’agenzia che si occupa di collocare i titoli del debito pubblico tedeschi) come custode dei titoli (che non vengono acquistati da nessuno), l’Agenzia predetta ha di fatto collocato sul mercato primario i titoli del debito pubblico tedesco a un tasso di interesse molto basso (e dunque poco appetibile per gli investitori) e ha ‘congelato’ il restante non collocato, destinandolo al cosiddetto mercato secondario per essere poi venduto nelle settimane successive a tranche, ogni qual volta la congiuntura economica è favorevole ovvero per favorire la sottoscrizione diretta della Bundesbank.
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A questo punto vi chiederete: ma come funziona il meccanismo se prima hai scritto che le banche centrali non possono acquistare i titoli sovrani? Non posso certo spiegarvi tutto (ho molte difficoltà anche io), però posso dirvi che nel mercato primario vengono collocati i titoli del debito pubblico non ancora emessi in nessun mercato, mentre nel mercato secondario vengono collocati i titoli già emessi nel mercato primario e non collocati in questo mercato. Nel mercato primario, dunque, possono acquistare i titoli solo gli investitori privati; nel mercato secondario possono acquistare i medesimi titoli anche le banche centrali e la BCE.
Capito l’inghippo? Se questo è vero, la Germania ha aggirato la regola UE, rispettandola formalmente. Ha emesso i propri titoli del debito pubblico nel mercato primario e ha congelato una parte degli stessi (le rimanenze) per il mercato secondario, dove — badate — la Bundesbank può acquistare liberamente i titoli del debito pubblico tedesco o condizionare fortemente le varie aste. In altre parole, il meccanismo consente alla Germania di proporre, in asta, un tasso di interesse molto basso (vedere l’asta del 23 novembre 2011). Se gli investitori privati si rifiutano di sottoscrivere i titoli del debito pubblico tedeschi a questi tassi giudicati scarsamente remunerativi, lo Stato colloca i titoli sul mercato secondario, dove l’azione della banca centrale è in grado di intervenire direttamente, magari sottoscrivendo i titoli non collocati e salvando capra e cavoli.
Per una più lucida ed esaustiva spiegazione: Economia e Politica
di Martino © 2012 Il Jester