E’ la fine di un giallo: l’assassino, Bin Laden, è morto.
E la fine di un giallo, come quello dell’introvabile Osama, chiarisce alcuni tasselli prima incomprensibili.
Ad esempio il messaggio di Bin Laden del 1 ottobre 2010, in cui esortò ad “Aiutare gli alluvionati” perché “la catastrofe (in Pakistan) è enorme e difficile da descrivere. Ciò che affrontiamo esige un’azione rapida e seria da parte di anime caritatevoli e di uomini coraggiosi per portare soccorso ai loro fratelli musulmani del Pakistan”. E ancora “Milioni di bambini sono fuori all’aria aperta, privi del sostegno di base per la vita, compresa l’acqua potabile, con conseguente contaminazione dei loro corpi e, successivamente, la loro morte.”
Un messaggio ecologista e umanitario che stupì molti, diverso da tutti gli altri. Oggi capiamo perché: Osama l’alluvione la vedeva dalla finestra di casa.
Come informa il presidente Obama, nel suo epitaffio al terrorista, “nell’agosto scorso dopo anni di lavoro senza sosta della nostra intelligence mi è stato riferito di un possibile accesso a Bin Laden. Non era certo e ci sono voluti molti mesi per abbattere questa minaccia. Mi sono riunito ripetutamente con la mia squadra di sicurezza nazionale per raccogliere più informazioni sulla possibilità che Bin Laden era stato localizzato in un rifugio nascosto in Pakistan.”
Dunque da quell’agosto 2010 Bin Laden era in Pakistan, precisamente ad Abbottabad nella provincia Khyber Pakhtunkhwa dove poi l’hanno trovato e ucciso. Nello stesso agosto, quella provincia fu una delle più colpite dalla tremenda esondazione dell’Indo: oltre 1700 morti.
Un terrorista impietosito da una carneficina? Forse, ma sembrò strano. C’è chi ipotizzò che cercasse consenso per reclutare nuovi pakistani. O forse, sappiamo oggi, aveva paura anche lui. Dopo l’alluvione ci fu un ondata di malaria nella regione. Che nella confusione dell’alluvione l’entourage di Bin Laden abbia fatto qualche passo falso e sia stata scoperta dall’intelligence? Non sappiamo. Sicuramente se la Cia aveva il sospetto che Osama si trovasse in quella regione disastrata del Pakistan, quel messaggio non fece altro che confermarlo.
Infine l’ ultima curiosa coincidenza riguarda un po’ l’Italia. Il “merito” dell’uccisione di Bin Laden si deve molto al figlio di un calabrese: Leon Panetta. Nel gennaio 2009 Obama lo fa direttore della Cia: in meno di due anni, dopo otto passati a brancolare nel buio, Bin Laden viene scovato e ucciso. Due giorni prima, Panetta viene nominato segretario alla difesa, successore del repubblicano Robert Gates. La missione alla Cia è compiuta, la promozione meritata. Riuscirà il cacciatore di terroristi, a far uscire dignitosamente gli Usa dalle sabbie mobili dell’Afghanistan e della Libia?
Si vedrà domani, oggi è il giorno dei festeggiamenti.
Si comprende il dolore ancora vivo per la morte di tremila americani, a volte parenti, figli, fratelli, genitori. Non si capisce però tanta gioia per la morte dell’ assassino. D’accordo il sollievo: non architetterà mai più simili atrocità. Ma se è vero quello che dice un ufficiale afghano “ormai è troppo tardi, oggi c’è un Bin Laden in ogni strada”, c’è poco da sentirsi sollevati.
Mai vista tanta gioia ad un funerale. “Obama 1 – Osama 0″ dice un cartello, neanche fosse il super bowl. La folla americana sventola bandiere, inneggia a mister president, canta l’inno, danza.
Per fortuna, non so danzare. Perché a danzare attorno ad un cadavere, pure il peggior terrorista della storia, mi vergognerei.
Occhio per occhio – diceva Gandhi – e il mondo diventa cieco.