Vivo il mio aver smesso di suonare un po’ come penso accada a quelli che dopo aver passato la vita da eterosessuali a cinquant’anni esplodono in tutta la loro gayezza e fieri sbandierano il loro coming out a supporto dell’equilibrio finalmente ritrovato. Uno passa decenni a pensare che inondare i propri spazi con suoni autoprodotti sia la chiave per assimilare la realtà e restituirla fuori sotto forma di rapporti armonici, melodici e ritmici, realizzando quindi il proprio sé con l’emissione di vibrazioni dirette al prossimo e poi quando decide di darci un taglio si accorge che no, il turbamento che lo ha accompagnato sin dalla comparsa dei primi peli pubici derivava proprio dall’incompletezza e dall’inadeguatezza alla dimensione musicale come canale espressivo. Voglio dire, non è che la mancanza di un referente in grado di gratificarti con feedback di comprensione sia l’unico aspetto che conferisce allo suonare uno strumento i caratteri del coito interrotto spingendo l’individuo a volerne sempre ancora perché impossibilitato a portare a termine almeno una prestazione. Le frustrazioni sono molteplici, e quando ti sei liberato di un passa-perdi-tempo così poco costruttivo ti accorgi di quanto sia bella la vita fuori dalla cantina, lontano dai compagni di gioco, dall’altra parte del palco a potersi liberamente inorridire dei problemi irrisolti delle adolescenze altrui. Forte di questa superiorità morale mi sento autorizzato a pensare, ogni volta che accendo la tv e c’è la classifica italiana di MTV, ogni volta che clicco play su qualche canzone postata di gruppi o cantautori locali su Facebook, ogni volta che qualcuno mi dice sai suono in una band, ti faccio sentire i nostri pezzi. In tutti questi frangenti mi parte in automatico un commento che solo la mia buona educazione mi consente di tenere represso, anche se vorrei guardare negli occhi artisti e ascoltatori e dir loro, in tutta franchezza, ma cos’è questammmmmerda?
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