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ecco perché non bisognerebbe mai dire che qualcuno è stato asfaltato

Creato il 23 febbraio 2014 da Plus1gmt

Susanna era uscita di scena nel modo più tragico che in quel contesto storico si poteva immaginare. Nel pieno del riflusso che nella provincia italiana aveva assunto più le sembianze di un rigurgito, conclusa l’epopea dell’eroina, un fenomeno in fase di normalizzazione a favore di un meno drammatico entusiasmo trasversale per le droghe comunemente dette leggere, l’epilogo piuttosto usuale per i decessi anticipati era quello della morte sulla strada. Ecco, l’unico aspetto positivo dell’alienazione degli adolescenti per i gadget tecnologici di oggi forse è la fine dell’alienazione degli adolescenti per i motori, quando l’ambiente di contorno non può offrire altri strumenti di evasione, tanto meno di emancipazione.

Voglio dire, meglio una denuncia della polizia postale per stalking o della Digos per attaccare il sito della Procura di Genova nei giorni del G8 dalla postazione in ufficio, per poi farti arrestare sotto gli occhi di colleghi e datore di lavoro con figura di merda annessa (è successo a un mio ex collega, giuro)  piuttosto che finire sugli scogli con una Opel Corsa GSI lanciata a più di cento km all’ora sull’Aurelia. Soprattutto se e quando il conducente si salva e la partner, al suo fianco e obnubilata dalla cieca e romantica fiducia per l’uomo con le mani salde sul volante, perde tutto. Susanna non ha raggiunto nemmeno l’età per prendere la patente, per dire, perché il ragazzo con il quale sognava di trascorrere tutta la vita già a sedici anni pensava di farcela a sostenere la curva pur non lesinando in emozioni da condividere. Ho sempre pensato a quell’attimo e a quella curva così: una canzone di Vasco a tutto volume sull’Alpine, l’asfalto viscido di salsedine, una frenata e poi il buio. Ciao.

Per non parlare delle motociclette. C’era Massimiliano che aveva il Ténéré e tutte le volte che gli amici lo vedevano partire per tragitti di media distanza c’era sempre da aspettarsi qualcosa. La scampagnata che finiva al pronto soccorso, nei casi migliori lui e il passeggero costretti a cercare un passaggio e a lasciare la moto lì, semidistrutta. E ovviamente nessuno che voleva viaggiare sulla sella con lui, ma alla fine toccava sempre a qualcuno, pena rimanere a casa, che con il senno di poi era anche meglio. A Massimiliano è andata bene, una serie di incidenti ma mai nessuno grave, e se ha avuto qualche conseguenza non è stato a causa della moto ma perché aveva la sbronza pericolosa. Una volta che gli è preso male è tornato in un locale sul litorale in cui non si era divertito, in piena notte e a serrande chiuse, per sfasciare tutto fino all’arrivo dei Carabinieri che sono riusciti ad arrestarlo solo perché aveva pensato di fuggire a nuoto. Chissà dove pensava di arrivare.

È andata peggio invece ai quattro dark di uno di quei paesotti il cui nome era sulla bocca di tutti ma perché storpiato per l’assonanza con la pratica – in gergo degli addetti ai lavori – di iniettarsi roba pesante in vena. Sono finiti giù in mare in barba a quelli che dicono che orientarsi in Liguria è più facile perché c’è un punto cardinale fisso e non ti puoi sbagliare. Le mamme delle vittime si sono messe d’accordo per vestirli tutti di bianco per la sepoltura, giusto per inasprire il conflitto tra persone per bene e musica alternativa. Chiude questa rassegna di morti Dario con i suoi due fratelli, lui che, sopravvissuto, continua a guidare imperturbabile una specie di Harley Davidson malgrado i suoi genitori abbiano già perso due figli più grandi in sella a due moto in due tragedie differenti. Muoversi e spostarsi ti espone a rischi più numerosi: oltre a quelli a cui sei soggetto se stai fermo ci sono sempre quelli in agguato nei punti in cui non dovresti stare, dove nessuno aveva previsto dovessi passare tu, e più velocemente rispetto alle tue capacità naturali.



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