Nelle prime ore del mattino ho letto su Repubblica, a firma di Simonetta Fiori, il racconto della morte di Lucio Magri avvenuta in Svizzera nella forma del suicidio assistito. Mi è venuto subito in mente un romanzo dell’anno scorso, La carta e il territorio, di Michel Houellebecq, in cui a un certo punto c’è la descrizione degli uffici che ospitano, nella periferia di Zurigo, l’associazione per l’eutanasia Dignitas, un luogo in cui il protagonista del racconto va a cercare i resti del padre fuggito da Parigi per procurarsi un’onesta morte. Houellebecq, nello stesso capitolo, mette in contrasto gli uffici affollati della Dignitas col sontuoso ma semideserto edificio del bordello Babylon FKK Relax-Oase che sorge sulla stessa strada, fino a considerare che forse “il valore commerciale della sofferenza e della morte era diventato superiore a quello del piacere e del sesso”. Il racconto della fine di Lucio Magri è violentemente simbolico. L’immagine degli amici e dei parenti radunati nel salotto di casa, in attesa di una telefonata definitiva dalla Svizzera, è l’allegoria potentissima di un fallimento, il naufragio finale delle ragioni storiche che hanno sostenuto per decenni una lotta e che soccombono fatalmente di fronte a una realtà politica e sociale di tutt’altro corso, a cui forse mancava solo la certificazione di un medico eutanasista. Nell’introduzione a Il sarto di Ulm – Una possibile storia del Pci, Lucio Magri ha scritto: “In una delle affollate assemblee che dovevano decidere se cambiare nome al Pci, un compagno rivolse a Pietro Ingrao una domanda: «Dopo tutto ciò che è successo e sta succedendo, credi proprio che con la parola comunista si possa ancora definire un grande partito democratico e di massa come siamo stati, ancora siamo e che vogliamo rinnovare e rafforzare per portarlo al governo del paese?». Ingrao, che già aveva ampiamente esposto le ragioni del suo dissenso da Occhetto e proposto di seguire un’altra strada, rispose, scherzosamente ma non troppo, usando un famoso apologo di Bertolt Brecht, Il sarto di Ulm. Quell’artigiano, fissato nell’idea di apprestare un apparecchio che permettesse all’uomo di volare, un giorno, convinto di esserci riuscito, si presentò al vescovo e gli disse: «Eccolo, posso volare». Il vescovo lo condusse alla finestra dell’alto palazzo e lo sfidò a dimostrarlo. Il sarto si lanciò e ovviamente si spiaccicò sul selciato. Tuttavia — commenta Brecht — alcuni secoli dopo gli uomini riuscirono effettivamente a volare”.
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