DALL’ARCHIVIO DEL “BARBIERE DELLA SERA” Ecco un esempio paradigmatico di come non si deve scrivere un pezzo di politica estera. Andrebbe esposto nelle bacheche di tutte le scuole di giornalismo. Vi troverete tutta la banalità, tutta la superficialità, tutti gli ammiccamenti, tutti i luoghi comuni, tutto il “politicamente corretto”, tutto il buonismo e tutto il provincialismo che affliggono il peggio del giornalismo italiano… vale a dire la gran parte. Un vero capolavoro misconosciuto: solo un brillante collega argentino se ne accorse. Ciao, Astolfo, non ci sentiamo da un po’ eh? Mi manchi, mi mancano la tua intelligenza e la tua spietatezza.
“C’era una volta l’Afghanistan. Il Paese degli Aquiloni”
Fino agli anni ’70 i bambini facevano librare i loro aquiloni nel cielo di Kabul. Sembra una favola. In quel paese lontano, di cui non si parlava mai, perché era quieto e immobile , ancorato alle sue ancestrali tradizioni tribali, regnava un Re saggio e clemente che, pur nel rispetto della tradizione, aveva realizzato moderate riforme, prendendo come modello le istituzioni democratiche dell’Occidente. Il suo nome era Mohammed Zahir Shah. Sono trascorsi appena pochi decenni, ma la densità dei tragici eventi che hanno funestato l’Afghanistan a partire dalla metà degli anni ’70 ha scavato un abisso temporale, rendendolo irriconoscibile e trasformandolo, dal paese quieto e immobile che era, in uno dei più spaventosi focolai di guerra del Pianeta. Tutto ebbe inizio nel 1973, quando Mohammed Daoud Khan, con un colpo di stato, rovesciò la monarchia. Il Re si trovava in Italia e qui sarebbe rimasto, in esilio, fino al 2002. A metà degli anni ’80, mentre l’Afghanistan era devastato dall’Armata Rossa, mi trovavo, una sera, in un circolo romano e spiegavo a un gruppo di amici le regole del Buskashi, il gioco nazionale afgano, nel quale due squadre di cavalieri si scontrano contendendosi una carcassa di capra. “Ah, i bei tempi di Zahir Shah!” affermai a un tratto “Chissà come lo rimpiangeranno”. Pronunciate quelle parole, un giovane che se ne stava in disparte, dalla pelle ambrata e con due occhi neri e dallo sguardo fiero, si alzò, mi si fece incontro, e, dopo avermi abbracciato, mi mostrò un suo documento. Era uno dei figli del Re. Ci siamo frequentati per qualche tempo e ancora aspetto che mantenga una sua promessa: “Quando mio padre o uno di noi figli tornerà sul tono tu sarai l’Ambasciatore del Regno in Italia. Nel 1978, con un altro colpo di stato, Nur Mohammad Taraki destituì Daoud Khan. I comunisti presero il potere e quello fu il principio della fine. Una dissennata politica di “modernizzazione” provocò la reazione dei conservatori e delle autorità religiose ed ebbe inizio la rivolta. Taraki venne assassinato nel ’79 e il suo succesore, Hafizullah Amin, venne quasi subito spazzato via dall’invasione sovietica e sostituito con Babrak Karmal, l’uomo di Mosca. Segurono dieci anni di guerra feroce, che vide contrapporsi gli invasori sovietici e il loro governo fantoccio alle milizie dei Mujaheddin, armati e foraggiati dagli Stati Uniti, erano gli ultimi fuochi della guerra fredda. E fu proprio la fazione più estremista di quelle milizie, i Talebani, a governare, in una situazione di guerra civile, il paese dopo il ritiro sovietico e fino alla successiva invasione americana del 2001. Dieci anni in cui i Talebani, trasformatisi da strumenti degli Stati Uniti in funzione antisovietica in mortali nemici, si resero colpevoli di efferatezze tali da far rabbrividire il mondo intero. L’Afghanistan si trasformò in un macello e divenne il ricettacolo delle più pericolose organizzazioni terroristiche antioccidentali. Il resto è cronaca dei nostri giorni, un paese invaso dalle truppe della NATO, retto da un altro governo fantoccio, tra i più corrotti al mondo, e sprofondato, come non mai, in una guerra civile che fa strage di innocenti. E coi Talebani, quel mostro partorito dalla violenza dei Russi e degli Americani, si sta cominciando a trattare, con la prospettiva di vederli tornare al potere quando, com’è ormai inevitabile, le truppe d’invasione porranno fine alla loro missione di “pace”. Ma intanto, il cielo dell’Afghanistan, dove non si librano più gli aquiloni, è infestato dagli aerei della NATO, in missione di pace, con le loro mostruose pance gravide di bombe. E tra quelli, presto, ci saranno forse anche i nostri , come vorrebbe a tutti i costi il pacificatore La Russa. E’ una necessità dettata dall’autodifesa, naturalmente. Come comprendono anche coloro che sono totalmente digiuni di strategia militare, il modo migliore per impedire che un Mujaheddin collochi una bomba anticarro sotto un blindato è scaricare grappoli di bombe sugli Afgani, i nemici, i colpevoli…loro.
Federico Bernardini
Illustrazione: Mohammed Zahir Shah – fonte: Google immagini