di David Incamicia
Chiedo scusa ai proprietari e agli autori degli interventi che seguono, recuperati qua e là per il web da quel blogger randagio e un po' strafottente che orgogliosamente rivendico di essere. Ma ieri è accaduto qualcosa di molto importante che non può essere archiviato con l'ennesima ed enfatica cronachetta. La giornata della dignità femminile che ha portato nelle piazze italiane centinaia di migliaia di donne, non tutte femministe e non tutte mosse da fattori idologici, deve continuare idealmente oggi nella riccorrenza di San Valentino. Perchè non si può non stare dalla parte di quelle istanze di decoroso riguardo verso il ruolo e l'essenza stessa della donna, veri e propri inni all'amore libero e responsabile, puro e consapevole. E non si può non essere innamorati, innanzitutto come uomini, di quella prorompente marea rosa fatta anche di emozioni semplici e spontanee. Quelle donne sono tutte nostre madri, nostre figlie, nostre amanti e compagne. Esseri sublimi spiritualmente e biologicamente. Che vanno difesi - specialmente da questa metà del cielo - dagli stupidi e squallidi attacchi di altre donne soggiogate al sistema prima ancora che dal machismo frustrato e arrogante. Vanno protetti dall'insulto di donne di potere ma impotenti, ignoranti e inadeguate. Loro, e solo loro, hanno perso una grande occasione quanto meno per tacere. Perchè chi è scesa fieramente e candidamente in piazza è un'eroina dei nostri tempi, altro che radical chic!
Sono eroine perchè rappresentano le piccole e grandi miserie quotidiane dell'odierno universo femminile, le loro sofferenze e umiliazioni, le loro rabbie e passioni. Anche di chi in piazza non ci è potuto andare. E qui voglio sottoporre una breve ma intensa selezione di "donne coraggio" attraverso i loro drammi esistenziali, cercati e trovati appunto nella piazza virtuale della Rete. E' il mio dono di San Valentino a tutte le donne, anche a quelle che il coraggio ancora non l'hanno afferrato affinché riflettano sulla propria funzione nell'ingiusta società dei nostri tempi. Li pubblico integralmente perchè ogni parola è intrisa di suprema umanità. Sono tutti recentissimi e spero solo che abbiate la pazienza di leggerli fino in fondo.
Lettera di una madre in memoria del figlio morto sul lavoro
Andrea aveva 23 anni quando, il 20 giugno 2006, è rimasto con il cranio schiacciato da una macchina tampografica non a norma. Andrea voleva imparare a suonare la tromba, come se la chitarra da sola gli andasse stretta. Perché a quell’età la taglia dei desideri si allarga e non stai più nei tuoi panni dalla voglia di metterti alla prova, conoscere, guardare avanti. Da lì a quattro giorni pure la metratura della sua vita sarebbe lievitata di colpo: dalla sua camera da ragazzo, in casa dei genitori, a un mini appartamento, acquistato dai suoi con un mutuo, a metà strada tra Porto Sant’Elpidio e la fabbrica Asoplast di Ortezzano, dove aveva trovato lavoro come precario per 900 euro al mese. Andrea voleva imparare a suonare la tromba, ma non ha fatto in tempo: una tromba che, rimasta là dov’era in camera sua, suona un silenzio assordante. E neppure l’appartamento è riuscito ad abitare: doveva entrare nella nuova casa sabato 24 giugno 2006, se ne è andato il 20 giugno di 4 anni fa.
Oggi Andrea avrebbe 28 anni ma è morto in fabbrica alle sei e dieci dell’ultimo mattino di primavera. E suonerebbe ancora la chitarra con i Nervous Breakdwn e non darebbe il suo nome a una borsa di studio. Sarebbe la gioia di sua mamma Graziella e non la ragione della sua battaglia da neo cavaliere della Repubblica, per cultura sulla sicurezza. Una battaglia finita con una sconfitta dolorosa: nel nome del figlio e a nome dei tanti caduti sul lavoro, senza giustizia: Umbria-Oli, Molfetta, Thyssenkrupp, Mineo… Sono solo le stazioni più raccontate di una via Crucis quotidiana, che per un po’ chiama a raccolta l’indignazione italiana, che poi guarda altrove. Le morti si fanno sentire, ma le sentenze molto meno, quando passano sotto silenzio anche per una sorta di disagio nell’accettarle e comunicarle. I responsabili di questa orrenda morte sono stati condannati a otto mesi di condizionale con la sospensione della pena, anche se il Procuratore generale del tribunale di Fermo aveva parlato «di un chiaro segnale perché questi reati vengano repressi con la massima severità». Andrea è stato ucciso per la seconda volta. La tragedia è finita nel dimenticatoio, con alcune frasi fatte e disfatte, tipo non deve più accadere, basta con queste stragi, lavoreremo per migliorare la sicurezza. Parole piene di buone intenzioni, che lo spillo della smemoratezza buca in un momento. Parole al vento!
Alla fine anche Andrea si è perso tra i morti da stabilimento e da cantiere: martiri del lavoro che fanno notizia, il tempo di commuovere, che non promuovono ronde per la sicurezza, spesso rimossi pure nei processi. Tragedie quotidianamente dimenticate da un Paese ignavo e incurante. La tromba silente di Andrea a suonare la sua ritirata. Questo è quanto accade a tutti i morti sul lavoro; di loro restano solo dolore e angoscia dei familiari ma giustamente questo non fa notizia: una mamma che piange tutti i giorni, che guarda sempre la porta di casa aspettando che il suo Andrea rientri perché spera che tutta la sofferenza che sta vivendo sia solo un brutto sogno… Ma tutto ciò non importa a nessuno! Questa è la tragica realtà, di chi rimane e si rende conto di essere emarginato e dimenticato da tutti. Forse ciò che gli altri non conoscono è la realtà del “dopo” di queste tragedie…
La vita per i familiari viene stravolta dal dolore e dalla mancanza della persona cara, ti ritrovi a lottare giorno per giorno per sopravvivere e se sei forte riesci in qualche modo a risollevare la testa da quel baratro di depressione in cui sei caduta, altrimenti sprofondi sempre di più! Ti accorgi che sei lasciato solo a te stesso… manca il sostegno psicologico, sono assenti tutte le istituzioni e nessuno è disposto ad ascoltare il tuo dolore perché il dolore fa paura a tutti! Speri nella giustizia ma questa si prende beffa di te, perché otto mesi e sospensione della pena per chi ha ucciso tuo figlio mi sembra una vergogna per un paese che si definisce civile…
Vogliamo parlare dell’Inail, questo ente che ogni anno incassa milioni di euro? Ebbene la morte di Andrea è stata calcolata 1.600 euro e cioè rimborso spese funerarie, allora mi chiedo ma la vita di mio figlio che è stato ucciso a soli 23 anni, per la società non valeva nulla? Eppure io quel figlio l’ho partorito, l’ho amato, curato e protetto per 23 anni, era il mio orgoglio e la mia felicità, e quindi tutto diventa assurdo e inaccettabile! Nemmeno l’assicurazione vuole pagare il risarcimento e a distanza di 4 anni e mezzo dovrò subire ancora violenze psicologiche tornando di nuovo in tribunale e ripercorrere ancora una volta questa tragedia… descrivere come è morto Andrea, come lo hanno trovato i colleghi di lavoro, come ho vissuto dopo e come continuo a vivere oggi… Credetemi, una pressione che non riesco a sopportare più. Per terminare, anche l’amministrazione comunale di Porto Sant’Elpidio si rifiuta di dare una definitiva sepoltura al mio angelo! Allora mi chiedo e lo chiedo a voi che state ascoltando questa lettera: la vita di un operaio vale così poco? E’ un essere umano come tutti e se per i soldati morti in “missione di pace” si fanno funerali di Stato, per i 1.300 operai che muoiono ogni anno per la mancanza di sicurezza, cosa viene fatto? Nulla, perché non sappiamo nemmeno nome e cognome… sono solo numeri che fanno parte di una statistica.
Termino questa lettera con un appello disperato: fermiamo questa strage che serve solo a far arricchire gli imprenditori e a distruggere le famiglie! Ogni essere umano ha diritto alla propria vita e non si può perderla per 900 euro al mese!
GRAZIELLA MAROTA
Lettera di una madre in attesa di giudizio alla quale viene impedito di vedere i figli
Qualche “brava persona” mi sta impedendo di riportare a casa il mio bambino, lo sta facendo con maniere poco ortodosse e per nulla legali. C’è ancora qualcuno in Italia, che ha il coraggio di darmi una mano?
Dopo quattro anni di lenta agonia, sono arrivata allo stremo delle mie forze fisiche e materiali ma mi è ancora rimasto il coraggio della mia onestà. Sono stata ingannata, depredata, calunniata, insultata, percossa e fatto più grave non riconosciuta minimamente in tutto ciò che sono i miei elementari diritti umani in uno stato civile.
Non ho piu nemmeno il diritto di essere umanamente madre, nonostante lo stato mi riconosca l’affidamento di mio figlio. Qualcuno mi ha venduto per trenta denari in passato e lo sta facendo ancora ora, minimizzando e distorcendo a suo favore una realtà paradossale e crudele.
Nonostante le numerose denunce, non riesco nemmeno ad arrivare ad essere avvisata di eventuali udienze e tutta l’informazione in mio possesso è merito solo di una mia costante ricerca autodidatta. In aggiunta è la preoccupazione di sapere un figlio a stretto contatto con un’ambiente violento ed autoritario il che non favorisce sicuro la situazione ed è già altamente lesiva per il suo futuro di persona civile.
La giovane età del ragazzo gli impedisce di avere il giusto discernimento e il mancato senso di responsabilità di certe istituzioni hanno completato il disastro in cui ci troviamo, facilmente prevedibile da qualsiasi persona di elementare coscienza.
NON avendo quindi più nessun mezzo a mia disposizione per far valere i diritti miei e quelli dei miei figli, opto a malincuore. (non si deve costringere le persone oneste a ciò) per combattere la mia (non voluta) battaglia con l’unico stumento che mi rimane e che è forse il più potente di tutti, la corretta informazione e la richiesta di aiuto.
Dichiaro di essere la sola e cosciente responsabile per tutto ciò che scrivo e rivolgo un’appello a tutte le persone che mi conoscono e non affinchè io possa continuare a lottare per il futuro sereno dei miei figli.
Ringrazio coloro che mi hanno aiutato e coloro che lo faranno e ammonisco da ora tutti quelli che sanno e non vogliono operare all’insegna dell’onestà e della giustizia.
F.to UNA MAMMA DISPERATA
Sfogo di una madre che combatte ogni giorno per l'integrazione e i diritti del proprio figlio disabile Giuseppe, il mio primo e unico figlio, affetto da Sindrome di Down, ha oggi 17 anni. Ricordo perfettamente, minuto per minuto, gli attimi della sua venuta al mondo. Tanta emozione e tanti perché, quando mi è stato comunicato della sua sindrome. Nove mesi a letto, ma tanta tanta fede. Pensate che, al sesto mese di gravidanza, ho detto tra me e me: Dio, fammelo avere questo figlio e se un giorno mi dovesse dire che vuole fare il sacerdote io te lo dò senza ribattere”. Lo immaginavo con gli occhi azzurri, chiaro di pelle, insomma che assomigliasse a me …ma mai che potesse avere dei problemi.
Arrivato il giorno della sua nascita, dopo essere stata sottoposta al taglio cesareo, ho capito che nell’aria c’era qualcosa di strano. Mio figlio non l’ho visto subito, ma ho compreso che c’era qualcosa che non andava, perchè udii da mio padre questa frase: ”ma assomiglia a quel bambino che recita con Massimo Dapporto”. E poi mia sorella che riferiva: “la dottoressa mi ha detto che è nato un mongolino”. Doccia fredda, ma volevo vederlo, perchè era mio figlio, la cosa più bella che io avessi fatto nella mia vita.
Ebbi la conferma da mio marito e dal pediatra che, con umiltà, ha saputo darmi la notizia. Giorni impressi nella mia mente, giorni in cui ho capito che Dio voleva qualcosa da me: mi stava chiamando ad una grande prova! Ho fatto con mio marito i viaggi della speranza a Roma. ho incontrato tanti genitori con lo stesso mio problema.
Giuseppe è cresciuto bene, ha camminato a 16 mesi, tanta terapia e molta voglia di vivere. Giuseppe ha avuto difficoltà nell’ambito scolastico fin da quando andava all’asilo. Non ha seguito un programma ben dettagliato ed io - forse non ho saputo lottare bene o mi sono posta male - quando chiedevo spiegazioni o dei sussidi per lui, mi sentivo rispondere: “Stia tranquilla prima o poi li avrà”. Mi ricordo che in prima media mi giunse una lettera in cui mi si invitava a portare Giuseppe a fare un test per il progetto di musica. Che bello! Pensai. La musica è la sua vita.
Arriva il giorno tanto desiderato. Giuseppe effettua l’esame e dopo pochi giorni arriva la SENTENZA: “Non idoneo”. La commissione lo bocciò, lo escluse. Il preside, con grande umiltà, mi suggerì di avere pazienza e mi offrì il suo sostegno nella mia “lotta”. Fu per me molto difficile spiegare a Giuseppe che non avrebbe potuto partecipare al progetto musicale. I suoi occhi sembravano dirmi: “Mamma ma gli altri compagni vanno ed io?”. I Down amano la musica e poi, tra me e me mi sono chiesta: che mi mandate a fare la lettera quando a priori lo escludete?! L’UMILIAZIONE. Nessun bambino se prima non ha fatto lezioni di musica sa cosa sia il solfeggio!
Giuseppe si arrabbia quando sente la parola handicappato o mongoloide. Certo ha i suoi momenti no, in modo particolare quando il suo sguardo si posa sulle ragazze. A scuola non riesce a scrivere bene (le terapiste hanno lavorato bene). Mi è stato detto che non sta mai in classe perché è discolo ed ineducato: ancora un’altra umiliazione. Giuseppe è un ragazzo autonomo. Ha capito il suo essere Down e altresì compreso che la sua diversità non lo rende peggiore degli altri. E poi perchè nelle classi, fin dall’asilo, non si spiega la causa della sua diversità? Sarebbe un’ottima occasione per gli insegnanti e per noi genitori.
Tutti noi siamo diversi. Ci sono ricchi e poveri, atei e cristiani, neri o bianchi, buoni e cattivi; ma certamente siamo di Cristo. Dove sono i programmi differenziati rispetto al resto della classe? Non abbiamo soldi per programmi differenziati, mi sono sentita ripetere più volte in questi anni. Ad una mia pressante richiesta circa il metodo di insegnamento adottato con lui, mi sono sentita rispondere queste testuali parole: “Non intervenga! L’importante è che suo figlio si integri. La Storia, la Geografia, la matematica e le altre discipline non servono a Lui”.
L’atteggiamento che si cela dietro questa frase è un segnale evidente e preoccupante di forte ottusità culturale ed intellettuale. Le persone con sindrome di Down sanno fare molte cose e ne possono imparare tante altre! Perché queste possibilità si traducano in realtà occorre che tutti imparino a conoscerli e ad avere fiducia nelle loro capacità! Io ho fiducia in mio figlio e lotterò!
F.to MADRE DEL SUD
Non solo le madri ma pure le figlie vivono oggi sempre più spesso drammaticamente il proprio essere donna. Quello che segue, è lo sfogo di una giovane precaria sul Forum di Anna Bartolini Il Salvaprezzi del sito Corriere.it.
Scusate lo sfogo
Cara Anna, sono una giovane precaria. Oramai son 10 anni che son precaria e tra un po' penso che dovrò smetterla di chiamarmi giovane....ma dire "giovane precaria" è per me una consolazione, un modo per pensare che forse un domani non lo sarò più. Ho fatto un po' tutti i lavori, mi sono traferita in una grande città dopo la laurea e il risultato dei miei sacrifici è che... continuo ad essere precaria. Sì, è vero, ho un lavoro che mi permette di pagare l'affitto di una stanza in questa grande città ma poco altro. Ho 35 anni e arrivata a questo punto... non perchè sia vecchia... ma perchè non ne vedo oggettivamente la possibilità... non credo che riuscirò mai ad avere una famiglia mia con dei figli (mantengo a mala pena me stessa).
Negli ultimi anni mi sono data da fare con lo studio e tutto quando potevo permettermi di fare ed ho così trovato un lavoro che mi piace, seppur precaria. Certe volte penso se non sia questa la "colpa" che devo espiare: il precariato di contro al fare un lavoro che mi piace. Io ho sempre cercato di non pesare sulla mia famiglia di origine. Ho ciminciato a lavorare quando avevo 26 anni e da allora sono indipendente economicamente, me ne sono subito uscita di casa. Passano gli anni e mi accorgo che la situazione non migliora. I miei genitori cominciano ad essere preoccupati perchè a 35 anni continuo a fare la vita di una "fuori sede" (per non parlare dei discorsi sulla pensione che non voglio sentire perchè rischierei serimanete di cominciare a pianificare il suicidio!) e anche io a volte sono preoccpuata. Ecco, scusa (e scusatemi) lo sfogo. Mi sembra di essere in un vicolo cieco e non so che fare.
UNA PRECARIA
Ed ecco un altro Forum, Io Donna, stavolta sul sito femminile Leiweb.it. E un altro grido disperato di una giovane donna senza futuro.
Questo non è vivere, è sopravvivere
33 anni, una laurea, anzi un pezzo di carta in mano, abbastanza sudato purtroppo a causa della convivenza forzata con una lunga malattia di 20 anni, 20 lunghi anni. Malattia che significa vivere e non vivere, senza considerare l’ossessione delle crisi in agguato, che generava così a sua volta limiti e paure incrostate nella mia testa nel tempo, resistenti come stallatiti. “Ma sei guarita, buttati” - mi dicono tutti ricorrentemente - “Hai tutta la vita davanti!”. Eh si, perché dopo un intervento mi son ritrovata alla partenza di una corsa. Corsa perché l’ansia e l’agitazione di un riscatto mi hanno assalito, corsa perché nel 21° sec. “Bisogna correre!” Per la mia realizzazione… una corsa a ostacoli completamente in salita purtroppo.
Ah,ah… ma chi se la carica una ragazza di 33 anni, “letterata”, che sa fare una versione di latino o semplicemente vedere la realtà con un certo occhio critico, ma non ha mai fatto le stagioni o battuto conti, che ha insomma poca dimestichezza pratica come un ippopotamo sulle punte?!! Così visto che entrare nel giro lavorativo dalla porta d’ingresso era ed è quasi impossibile, ho preso l’iniziativa del “fai da te” dandomi al... ta-dà!... volontariato. Per aiutare bambini senza famiglia o salvare animali in via d’estinzione? Nooo! Per lavorare gratis in mezzo alle scartoffie di una biblioteca e imparare così alla bene e meglio un mestiere!
E meno male l’apprendistato qualche frutto me l’ha dato: eh sì, ho LAVORATO, lavorato per neanche 8 mesi presso l’Università della mia città con un bel contratto CO. CO. CO! CO.CO.CO. CO.CO. PRO.: son da barzelletta pure i nomignoli che hanno affibbiato a questi pseudo contratti di lavoro! Fortuna o sfortuna tutto ciò? Fortuna considerando che tante persone non hanno avuto manco questa opportunità di assaporare l’ebbrezza lavorativa. Sfortuna perché ora, non lavorando da mesi, e per la mancanza di offerte e per la famigerata crisi che avanza, il mio conto in banca è fermo da qualche mese, stantio, come stantie o quasi sono oramai le mie idee.
Così mi ritrovo, come tante altre persone, a essere ancora relegata a “vivere”, a convivere con chi mi ha messo al mondo, con i loro ritmi e i loro bisogni da ultrasessantenni, rimanendo INVISIBILE come un fantasma agli occhi altrui, annegando pian piano nella noia, navigando su internet a cerare qualche offerta di lavoro, qualche corso di formazione che mi spiani un po’ la strada o che almeno accenda un barlume di speranza. A fine giornata mi ritrovo col mal di testa, gli occhi che bruciano, come quando lavoravo, con una disillusione e un rancore crescenti. È questo vivere? No ragazzi miei, io questo lo considero SOPRAVVIVERE!!!
CHIARA MADARESEEX PRECARIA INVISIBILE, OGGI DISOCCUPATA
Che ne dite? Vi sembra il berciare ideologizzato e schierato di qualunquiste, moraliste, giustizialiste? O è solo il segno parziale (tante analoghe testimonianze si potrebbero elencare) della degenerazione e del disequilibrio nel quale siamo stati ricacciati da una società ormai imbarbarita e alla deriva? Non meriterebbero queste donne dignitose e sofferenti, madri e figlie, altrettanta attenzione della miriade di sciacquette pubblicamente valorizzate in spregio ad ogni norma di buon senso etico e meritocratico, ormai assurte perfino ad esempio per la collettività nella nuova mitologia del successo?
Auguri donne, origine e approdo dell'esistenza, nostra eterna speranza, sguardo premuroso e sensibile sull'umana imperfezione.