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Economia e cultura dei consumi alimentari degli anni Ottanta

Creato il 10 gennaio 2012 da Ilcasos @ilcasos

Industria alimentare

L’articolo che segue si propone una breve trattazione della crisi del comparto alimentare italiano negli anni Ottanta, e più in particolare del sistema delle partecipate statali, che facevano capo all’Istituto Ricostruzione Industriale (IRI), sorto in epoca fascista e sopravvissuto nel secondo dopoguerra. Il decennio considerato vede in generale una crisi degli storici marchi italiani (tranne alcuni, come Barilla e Ferrero, che sono però casi isolati) come Peroni e BuitoniPerugina. L’analisi del sistema pubblico diventa quindi fondamentale per osservare come la debolezza della classe imprenditoriale italiana, sempre caratterizzata da lotte intestine, abbia determinato l’incapacità di formare un grande gruppo imprenditoriale che potesse competere con i potenti marchi internazionali (Nestlè, Unilever, Coca-Cola, BSN-Danone e altri) che proprio in quel decennio (nonostante fossero già presenti da tempo in Italia) sfruttarono la loro posizione di forza per comprare e controllare i settori di consumo più importanti della penisola. Il caso qui preso in esame analizza le vicende del gruppo pubblico del settore alimentare, la Sme e, nella seconda parte, la storia specifica di un comparto della Sme, e cioè il gruppo Motta-Alemagna.

La vicenda della Sme, il gruppo pubblico più grande e importante dell’industria alimentare, prende avvio negli anni Sessanta.

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Logo Nestlé

Fino ad allora, la Società meridionale di elettricità (poi trasformatasi in Società finanziaria meridionale, dopo la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la costituzione dell’Enel nel biennio 1962-1963) deteneva una quota di partecipazione dell’87,5 per cento nella SEBI (Società per l’esercizio delle attività agricole e immobiliari), il 65 per cento delle Industrie alimentari e conserviere della Valle di Tronto, e il 9,1 per cento della Cirio[1]. Ma è nel 1968 che partirà una partecipazione più profonda nel settore: la Sme acquisirà il 35 per cento della Motta e arriverà al 26,4 per cento nella Cirio.

In poco tempo, il settore agro-alimentare passerà da una quota del 20,4 per cento del portafoglio azionario della società al 36,6 per cento nel 1970 (acquisizione del 50 per cento di Alemagna), al 48,3 per cento nel 1971 (acquisizioni del 50 per cento della Star e del 22,5 per cento della Star Lux, spagnola), al 50 per cento del 1972 (partecipazione al 50 per cento nella Mellin e acquisto del 100 per cento della Società agricola Torcino)[2]. Parallelamente cresce anche il peso del settore della grande distribuzione (già alla fine degli anni Sessanta erano stati acquisiti i Supermercati GS), che arriverà al 17,7 per cento nel 1982, mentre quello alimentare, nello stesso anno, sarà del 66,2 per cento. Ciò che si può costatare è che dagli anni Settanta l’interesse del gruppo si sposterà sempre di più nel settore industriale rispetto a quello agricolo, interesse testimoniato dall’acquisizione, nel biennio 1973-1974, dell’Alivar, un gruppo di imprese (Pavesi, Pai, Bertolli, De Rica, Bellentani, Cipas) che abbracciavano vari settori dell’alimentazione oltre a quello ristorativo con Autogrill.

Nonostante tutte le acquisizioni e la crescita dei fatturati, nel 1975 si avranno perdite intorno a quaranta miliardi di lire.

È in questo contesto che Motta e Alemagna, le due imprese che avevano causato le perdite maggiori, vennero fuse nell’Unidal (Unione industrie dolciarie alimentari S.p.a.) nel 1976; le attività gelatiere del gruppo passano alla Tanara S.p.A. che diventa Italgel S.p.A., di proprietà del’Unidal[3]. Ma, a causa delle forti perdite, nel 1977 la società dovette essere messa in liquidazione, progettando di costituire in una nuova società, la Sidalm, che avrebbe dovuto controllare le attività sane dell’Unidal.

È nel quadro di generali perdite finanziarie che l’assemblea straordinaria del 1982 decide innanzitutto una riduzione del capitale sociale, ma anche un ruolo più definito del gruppo come una holding di imprese che mantengono una certa autonomia produttiva e gestionale che avrebbe dovuto seguire una strategia simile a quella di altri grandi gruppi privati per quanto riguardava, in particolare, i mercati esteri[4].

Seguendo questa linea, dal 1983 l’azienda inizierà ad alienare tutte le attività produttive non legate al settore alimentare distributivo. Verranno cedute la Bastogi, l’Italsider, la Tangenziale di Napoli, le società edilizie, il comparto degli accessori di auto e tutto il settore agricolo, mentre l’Iri (che deteneva la proprietà della Sme) avrebbe ceduto alla Sme la gestione della Sidalm.

Del 1984 è la cessione del 50 per cento della Star alla Findim di Danilo Fossati, ma contemporaneamente acquista il pieno controllo sull’Alivar[5]. Da questo momento la Sme si sarebbe riorganizzata in cinque settori, che sarebbero durati fino all’ondata di privatizzazioni che avrebbe caratterizzato un netto cambiamento del panorama industriale italiano.

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Operai/e che smistano pomodori

Il primo settore era quello delle conserve alimentari, con Cirio, Bertolli, De Rica, Società delle conserve alimentari. Il secondo settore comprendeva i gelati e i surgelati, con Motta, Antica gelateria del Corso, Surgela e Valle degli Orti. Il settore dolciario, il terzo, gestiva invece i marchi Motta, Alemagna, Pavesi, Pai. Il quarto settore riguardava la distribuzione moderna con la Società generale supermercati e la Sico. Il quinto e ultimo settore, comprendeva la ristorazione, attraverso Autogrill, Sirea, Esco, che utilizzavano anche la rete dei Ciao della Pavesi[6].

Nasce così già agli inizi degli anni Ottanta l’idea di creare un gruppo pubblico-privato, che sarà poi concretizzata nel 1985, col governo Craxi, attraverso la messa in vendita del settore pubblico agro-alimentare. Dopo un rifiuto da parte di Barilla, di Ferrero, di Fossati e di Berlusconi all’acquisizione della SME-SIDALM, arrivò l’iniziativa della Cir di Carlo De Benedetti, attraverso la controllata Buitoni (acquistata nel febbraio del 1985). L’accordo, però, annunciato ufficialmente alla fine di aprile 1985, non venne mai siglato.

Subito dopo l’offerta di acquisto di De Benedetti, infatti, si costituì lo IAR (Industrie Alimentari Riunite), con lo scopo di ostacolare la creazione di una grande holding del settore alimentare in Italia. Secondo gli accordi tra Romano Prodi, allora presidente dell’Iri, e De Benedetti, l’Iri avrebbe venduto il 64,36 per cento della propria partecipazione nel settore alimentare. Buitoni ne avrebbe rilevato il 51 per cento, mentre il restante 13,36 per cento sarebbe andato a Mediobanca e Imi, che avevano assistito le parti[7].

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Benedetto "Bettino" Craxi (1934-2000), Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1983 al 1987

L’annuncio di questi accordi provocò critiche e polemiche da varie parti, in particolare dal Partito Socialista e da Bettino Craxi, allora Presidente del Consiglio. Oltre all’offerta da parte della Cir e dello IAR, arrivarono anche offerte da parte della Lega delle Cooperative e da Cofima. Il ministro delle Partecipazioni statali, Clelio Darida, democristiano, incaricò l’Iri di eseguire un esame comparativo delle offerte. Giuliano Amato, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e Romano Prodi, dichiararono che l’accordo con Buitoni non era vincolante, perché mancavano le autorizzazioni ministeriali. De Benedetti citò quindi in tribunale l’Iri e iniziò il lunghissimo processo Sme che dopo pochi anni si concluse con un nulla di fatto[8].

Dopo le rivelazioni del 1995-1996 da parte di Stefania Ariosto, però, vennero imputati Silvio Berlusconi, Cesare Previti, Renato Squillante e Attilio Pacifico [9], con l’accusa di aver corrotto i magistrati romani che decisero nel 1985 di bloccare la vendita della Sme[10]. Si aprì un lunghissimo dibattimento giudiziario che conobbe alterne vicende e interessò i governi che si succedettero in Italia dalla fine degli anni Novanta fino ai giorni nostri[11].

Roberto Villa, amministratore delegato della Buitoni, sostiene che nella vicenda della mancata acquisizione di Sme da parte di De Benedetti, sia da attribuirsi non solo a resistenze di certi settori politici, ma anche e soprattutto a diversi interessi che riuscirono a convergere e annullare l’operazione; da un lato le grandi multinazionali che già agivano sul suolo Italiano, in primis BSN, che cercavano di impedire che si costituisse un grande gruppo italiano che avrebbe potuto minacciare le posizioni di queste corporations nei mercati europei e mondiali; dall’altro quelli che Villa definisce i mercati di nicchia che si sentivano minacciati nelle loro posizioni di leader di settore; terzo elemento, le grandi concentrazioni finanziarie agirono per impedire che si mettessero in atto forze capaci di attrarre finanziamenti e risparmio.[12]

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Logo Barilla

La privatizzazione, comunque, avvenne pochi anni dopo; già nel 1990 il processo di riaccorpamento e scorporo del settore industriale della Sme avrebbe visto la cessione di pacchetti azionari ai privati: la Barilla acquisirà il 49 per cento della Pavesi, mentre la Park Davies, del gruppo Warner Lambert , il 49 per cento della Adams. Barilla e Ferrero si sarebbero spartiti in parti uguali il 49 per cento della Nuova Forneria. Tutto ciò fu il risultato della divisione dell’Alivar, che doveva puntare ad una privatizzazione a pezzi, in cui ogni azienda, leader nel settore di competenza, acquisiva una parte di produzione congeniale ad allargare le proprie quote di mercato, nazionale ed europeo.[13]

Il processo definitivo di privatizzazione si sarebbe completato nel 1993, ma:

A ben vedere, chi beneficia della dismissione del settore alimentare pubblico da parte dell’Iri sono, da una parte – in misura minimale –, Barilla e Ferrero, la prima acquisendo Pavesi e una quota consistente della Nuova Forneria, la seconda entrando con il 24,5 per cento nella Nuova Forneria; dall’altra, in maniera consistente, la Nestlé e, per la quota Bertolli, l’Unilever, ovvero le più grandi imprese multinazionali operanti nel settore, che si collocano al vertice della produzione alimentare italiana proprio a partire dai primi anni novanta. Infine, v’è da segnalare come capitali e società finanziarie operanti in altri settori tendano a spostarsi in direzione del settore alimentare: è il caso della Fisvi di La Miranda, che acquisisce la Cirio-Bertolli-De Rica associandosi al finanziere Cragnotti, che già aveva acquisito dalla Sme la Ala e dalla Federconsorzi la Polenghi. [14]

Nella lunga lotta apertasi, tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta, per la ristrutturazione del settore alimentare, sono in ultima analisi le multinazionali straniere a fare la parte del leone: l’ipotesi di un grande gruppo alimentare italiano – sia nella forma dell’integrazione tra pubblico e privato, sia in quella di acquisizione da parte di un singolo soggetto imprenditoriale e finanziario privato di imprese e gruppi operanti nel settore – alla luce dei fatti era destinata a rimanere soltanto un’ipotesi.

Nella prossima parte, si vedrà nello specifico il caso del gruppo Motta-Alemagna, dall’acquisto all’inserimento nel settore pubblico, fino alla svendita al gruppo Nestlè, passando per tutti i tentativi di ristrutturazione eseguiti tra gli anni Settanta e Ottanta.

[Bibliografia]

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Note   (↵ returns to text)
  1. SME-Napoli, Esercizio 1965, Napoli, s.d. (1966), p.15, ID., Esercizio 1968, Napoli s.d. (1969), p. 19.↵
  2. Gallo, Covino, Monicchia, Crescita, crisi, riorganizzazione, in A. De Bernardi, A. Capatti, A, Varni, L’alimentazione, Torino, Einaudi, 1998, pag. 313.↵
  3. Adele Perenze, Lucio Sicca, Crisi e ristrutturazioni di impresa. Il caso Motta-Alemagna, ETAS, Milano, 1991, p.45-46.↵
  4. Sme-Napoli, Assemblea straordinaria del 28 settembre 1982, s.l. s.d. (1982).↵
  5. Sme-Napoli, Relazioni e bilancio al 31 dicembre 1984, s.l. s.d. (1985) pp.8-9.↵
  6. Sme-Napoli, Relazioni e bilancio al 31 dicembre 1986, s.l. s.d. (1986), p. 12.↵
  7. La vicenda Sme dall’Iri a Berlusconi, in «La Repubblica», 5 maggio 2003.↵
  8. La sentenza della prima sezione del Tribunale civile di Roma che segna uno stop decisivo, ma non definitivo, della scalata di De Benedetti alla Sme, viene riportata integralmente in, I giudici hanno ragionato così, in «Il Sole 24 Ore», 20-21 luglio 1986.↵
  9. I giudici hanno ragionato così, in «Il Sole 24 Ore», 20-21 luglio 1986.↵
  10. Mardo Bracconi, Storia di un processo infinito fra udienze, leggi e girotondi, in «La Repubblica», 22 novembre 2003.↵
  11. Il processo durò diversi anni; per avere una visione d’insieme delle vicende confrontare, Sme: processo tutto da rifare, in «Corriere della Sera», 1 dicembre 2006, Via libera all’immunità per le alte cariche, in «Corriere della Sera», 18 giugno 2003, Consulta: il Lodo Schifani è illegittimo, in «Corriere della Sera», 13 gennaio 2004, Cesare Previti condannato a cinque anni, in «Corriere della Sera», 22 novembre 2003, Sme: «Assoluzione e prescrizione», in «Corriere della Sera», 10 dicembre 2004, Processo Sme: cinque anni a Previti, in «Corriere della Sera», 3 dicembre 2005, Processo Sme, Berlusconi assolto, in «Corriere della Sera», 27 aprile 2007, Sme, la Cassazione assolve Berlusconi, in «Corriere della Sera», 26 ottobre 2007, Processo Sme, Silvio Berlusconi assolto, in «Corriere della Sera», 30 gennaio 2008.↵
  12. Gallo, Covino, Monicchia, Crescita, crisi, riorganizzazione, cit. p.320-321.↵
  13. Gallo, Covino, Monicchia, Crescita, crisi, riorganizzazione.↵
  14. Gallo, Covino, Monicchia, Crescita, crisi, riorganizzazione, cit. pp. 323-324, confrontare anche Fabrizio Barca, Sandro Trento, La parabola delle partecipazioni statali, in, Fabrizio Barca (a cura di), Storia del capitalismo italiano: dal dopoguerra ad oggi, Roma, Donzelli, 1997, pp. 226-232.↵
  15. AA.VV., La vicenda Sme dall’Iri a Berlusconi, in «La Repubblica», 5 Maggio 2003.

    BARCA F. (a cura di), Storia del capitalismo italiano: dal dopoguerra ad oggi, Roma, Donzelli, 1997.

    BRACCONI M., Storia di un processo infinito fra udienze, leggi e girotondi, in, «La Repubblica», 22 Novembre 2003.

    DE BERNARDI A., CAPATTI A., VARNI A. (a cura di), L’alimentazione, Einaudi, Torino, 1998.

    PERENZE A., SICCA L., Crisi e ristrutturazioni di impresa. Il caso Motta-Alemagna, ETAS, Milano, 1991.

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