Magazine Cultura

Edgar Allan Poe – “Il principio poetico” 2

Creato il 25 ottobre 2012 da Marvigar4

Edgar Poe il principio poetico

Edgar Allan Poe

Il principio poetico

traduzione dall’originale The poetic principle

di Marco Vignolo Gargini

   Un istinto immortale nel profondo dello spirito dell’uomo è così, chiaramente, un senso del Bello. È questo senso che governa per il suo piacere le svariate forme, i suoni, gli odori, i sentimenti in mezzo a cui esiste. E come il giglio si riflette nel lago, o gli occhi di Amarillide nello specchio, così la pura ripetizione orale o scritta di queste forme, suoni, colori, odori e sentimenti è una sorgente duplicate di diletto. Ma questa pura ripetizione non è poesia. Chi canterà semplicemente, sia pure con entusiasmo passionale, o con una vivida fedeltà descrittiva di visioni, suoni, odori, colori e sentimenti che lo accomuni a tutta l’umanità – costui, io dico, non è ancora riuscito a dimostrare il suo titolo divino. C’è ancora qualcosa nella distanza che non è stato capace di raggiungere. Resiste in noi una sete inestinguibile, e per calmarla egli non ci ha mostrato le sorgenti cristalline. Questa sete fa parte dell’immortalità dell’uomo. È insieme una conseguenza e un’indicazione della sua perenne esistenza. È il desiderio della falena per la stella. Non è il semplice apprezzamento della Bellezza davanti a noi, ma uno sforzo sfrenato di raggiungere la Bellezza al di sopra di noi. Ispirati da un’estatica prescienza delle glorie oltre la morte, lottiamo con multiformi combinazioni tra le cose e i pensieri del Tempo per ottenere una porzione di quella Grazia i cui propri elementi appartengono forse solo all’eternità. E così attraverso la Poesia, o la Musica, il più seducente degli umori poetici, ci ritroviamo a scioglierci in lacrime, allora piangiamo, non come suppone l’abate Gravina [1], per un eccesso di piacere, ma per un certo petulante, impaziente dispiacere per la nostra incapacità di cogliere ora, completamente, qui sulla terra, una volta per sempre, quelle gioie divine e rapinose di cui attraverso la poesia o la musica non cogliamo che brevi e indistinti scorci.

   La lotta per apprendere la suprema Grazia – lotta da parte degli animi che hanno una costituzione adeguata – ha dato al mondo tutto ciò che esso (il mondo) è stato mai capace di comprendere e di sentire insieme come poetico.

   Il Sentimento Poetico, naturalmente, può svilupparsi in vari modi – nella pittura, nella scultura, nell’architettura, nella danza – assai particolarmente nella musica – e in modo molto peculiare e ampiamente nella composizione e progettazione dei giardini. Tuttavia, il nostro tema attuale si riferisce solo alle sue manifestazioni verbali. E qui concedetemi di parlare brevemente sull’argomento del ritmo. Accontentandomi della certezza che la Musica, nei suoi vari modi del metro, del ritmo e della rima, possiede un momento così vasto nella Poesia da non essere mai saggiamente respinta – è un attributo di così vitale importanza che solo uno sciocco ne rifiuta l’assistenza, non mi soffermerò ora per sostenere la sua assoluta essenzialità. È forse nella Musica che l’anima si avvicina di più al grande fine per cui lotta, quando è ispirato dal Sentimento Poetico, ossia la creazione della suprema Bellezza. Può, in effetti, capitare che nella Musica questo fine sublime sia ogni tanto raggiunto realmente. Spesso ci succede di sentire, con un brivido di piacere, che da un’arpa terrena si sprigionano note che non possono che esser state familiari agli angeli. E così non vi sono dubbi che dall’unione della Poesia con la Musica, nel senso più esteso, si troverà il terreno più ampio per lo sviluppo poetico. Gli antichi bardi e i Minnesänger [2] avevano vantaggi a noi estranei – e Thomas Moore [3], cantando le sue canzoni le stava perfezionando come poesie nel modo più legittimo.

   Ricapitolando: definirei in breve la Poesia verbale come creazione ritmica della Bellezza. L’unico suo arbitro è il Gusto. Con l’intelletto o con la Coscienza ha solo rapporti collaterali. A meno che, incidentalmente, non abbia a che fare affatto con dovere e Verità.

   Tuttavia, poche parole di chiarimento. Quel piacere che è insieme il più puro, il più elevato e il più intenso, deriva, io sostengo, dalla contemplazione della Bellezza. Soltanto nella contemplazione della Bellezza troviamo possibile il raggiungimento di quell’elevazione piacevole, o esaltazione dell’anima, che riconosciamo come il Sentimento Poetico, e che è così facilmente distinguibile dalla Verità, che è il soddisfacimento della Ragione, o dalla Passione, che è l’eccitazione del cuore. Quindi, ritengo la Bellezza (usando il termine che include il sublime) la sfera della poesia, semplicemente perché è un’ovvia regole dell’Arte che gli effetti debbano esser fatti derivare il più direttamente possibile dalle loro cause: nessuno finora è stato abbastanza mediocre da negare che la peculiare elevazione in questione è se non altro più facilmente conseguibile nella poesia. Comunque, non ne consegue affatto che le istigazioni della Passione o i precetti del Dovere, o persino le lezioni della Verità, non possano essere introdotte in una poesia, e con vantaggio; dato che possono fra l’altro favorire, in vari modi, gli scopi generali dell’opera: ma il vero artista farà sempre in modo di attenuarli nella giusta sudditanza a quella Bellezza che è l’atmosfera e la vera essenza della poesia.

   Non potrei presentare meglio le poche poesie che sottoporrò al vostro esame con la citazione del proemio del Trovatello di Longfellow [4]:

The day is done, and the darkness
Falls from the wings of Night,
As a feather is wafted downward
From an Eagle in his flight.

I see the lights of the village
Gleam through the rain and the mist,
And a feeling of sadness comes o’er me,
That my soul cannot resist;

A feeling of sadness and longing,
That is not akin to pain,
And resembles sorrow only
As the mist resembles the rain.

Come, read to me some poem,
Some simple and heartfelt lay,
That shall soothe this restless feeling,
And banish the thoughts of day.

Not from the grand old masters,
Not from the bards sublime,
Whose distant footsteps echo
Through the corridors of Time.

For, like strains of martial music,
Their mighty thoughts suggest
Life’s endless toil and endeavor;
And to-night I long for rest.

Read from some humbler poet,
Whose songs gushed from his heart,
As showers from the clouds of summer,
Or tears from the eyelids start;

Who through long days of labor,
And nights devoid of ease,
Still heard in his soul the music
Of wonderful melodies.

Such songs have power to quiet
The restless pulse of care,
And come like the benediction
That follows after prayer.

Then read from the treasured volume
The poem of thy choice,
And lend to the rhyme of the poet
The beauty of thy voice.

And the night shall be filled with music,
And the cares that infest the day
Shall fold their tents like the Arabs,
And as silently steal away. [5]

   Pur non disponendo di una grande gamma di immaginazione, questi versi sono stati giustamente ammirati per la loro delicatezza d’espressione. Alcune immagini sono molto efficaci. Non ci può essere niente di meglio che

… the bards sublime,
Whose distant footsteps echo
Down the corridors of Time.

   Anche l’idea dell’ultima quartina è molto efficace. La poesia in complesso è comunque da ammirare soprattutto per la graziosa insouciance [6] del suo metro, così bene in accordo con il carattere dei sentimenti, e specialmente per l’agilità dell’espressione generale. Questa agilità o naturalezza, in uno stile letterario, da tempo sono state la maniera per considerarle facili solo in apparenza – come un punto di realizzazione davvero difficile. Ma non è così: una maniera naturale è difficile solo per chi non dovrebbe mettervi le mani – per l’artificioso. È soltanto il risultato della scrittura consapevole, o istintuale, che il tono, nella composizione dovrebbe essere sempre ciò che l’insieme dell’umanità vorrebbe adottare – e finisce col variare di continuo, ovviamente, a seconda delle occasioni. L’autore che, alla maniera della The North American Review, dovrebbe essere in ogni occasione solo “tranquillo”, in molte occasioni sarà necessariamente solo uno sciocco, o uno stupido; e non ha più diritto d’essere considerato «facile» o «naturale» di un cockney [7] che sia considerato raffinato, o di una Bellezza assopita nelle statue di cera.

   Tra le poesie minori di Bryant [8], nessuna mi ha tanto impressionato come quella che si intitola Giugno. Ne cito solo una parte:

There, through the long, long summer hours,
The golden light should lie,
And thick young herbs and groups of flowers
Stand in their beauty by.
The oriole should build and tell
His love-tale, close beside my cell;
The idle butterfly
Should rest him there, and there be heard
The housewife-bee and humming bird.

And what, if cheerful shouts at noon,
Come, from the village sent,
Or songs of maids, beneath the moon,
With fairy laughter blent?
And what if, in the evening light,
Betrothed lovers walk in sight
Of my low monument?
I would the lovely scene around
Might know no sadder sight nor sound.

I know, I know I should not see
The season’s glorious show,
Nor would its brightness shine for me;
Nor its wild music flow;
But if, around my place of sleep,
The friends I love should come to weep,
They might not haste to go.
Soft airs and song, and the light and bloom,
Should keep them lingering by my tomb.

These to their soften’d hearts should bear
The thoughts of what has been,
And speak of one who cannot share
The gladness of the scene;
Whose part in all the pomp that fills
The circuit of the summer hills,
Is — that his grave is green;

And deeply would their hearts rejoice
To hear again his living voice. [9]

   Il flusso ritmico qui è persino voluttuoso. Non vi potrebbe essere niente di più melodioso. Questa poesia mi ha sempre colpito decisamente. La malinconia intensa che sembra per forza sgorgare fino alla superficie di tutte le allegre dichiarazioni del poeta sulla sua tomba, ci fa fremere l’anima – e nel fremito c’è la più vera elevazione poetica. L’impressione rimasta è di una tristezza gradevole. E se, nelle altre composizioni che vi presenterò ci sarà, più o meno, un tono simile sempre in evidenza, lasciate che vi ricordi che (non sappiamo come né perché) questa certa tinta di tristezza è inseparabilmente connessa con tutte le più alte manifestazioni della vera Bellezza. E, tuttavia, vi circola

A feeling of sadness and longing
That is not akin to pain,
And resembles sorrow only
As the mist resembles the rain. [10]

   La tinta di cui parlo è chiaramente percettibile persino in una poesia così piena di vivacità e spirito come Il brindisi di Edward Coate Pinckney [11]:

I fill this cup to one made up
Of loveliness alone,
A woman, of her gentle sex
The seeming paragon;
To whom the better elements
And kindly stars have given
A form so fair that, like the air,
’Tis less of earth than heaven.

Her every tone is music’s own,
Like those of morning birds,
And something more than melody
Dwells ever in her words;
The coinage of her heart are they,
And from her lips each flows
As one may see the burden’d bee
Forth issue from the rose.

Affections are as thoughts to her,
The measures of her hours;
Her feelings have the flagrancy,
The freshness of young flowers;
And lovely passions, changing oft,
So fill her, she appears
The image of themselves by turns, –
The idol of past years!

Of her bright face one glance will trace
A picture on the brain,
And of her voice in echoing hearts
A sound must long remain;
But memory, such as mine of her,
So very much endears,
When death is nigh my latest sigh
Will not be life’s, but hers.

I fill’d this cup to one made up
Of loveliness alone,
A woman, of her gentle sex
The seeming paragon –
Her health! and would on earth there stood,
Some more of such a frame,
That life might be all poetry,
And weariness a name. [12]

   La sfortuna di. Pinckney fu di esser nato troppo a sud. Se fosse nato nel New England, probabilmente sarebbe stato classificato al primo posto tra i lirici americani da quella magnanima cabala che ha così a lungo controllato i destini delle lettere americane, dirigendo la cosiddetta The North American Review. La poesia appena citata è particolarmente bella; ma l’elevazione poetica che produce dobbiamo riferirla soprattutto alla nostra simpatia per l’entusiasmo del poeta. Perdoniamo le sue iperboli per l’evidente serietà con cui sono espresse.

   Non è tuttavia affatto mia intenzione dilungarmi sui meriti di ciò che vi leggo. Questi parleranno necessariamente da soli. Boccalini [13], nel suo Ragguagli di Parnaso, ci racconta che Zoilo una volta presentò ad Apollo una critica molto caustica di un libro molto pregevole: al che il dio lo interpellò sulle bellezze dell’opera. Zoilo rispose che si era occupato soltanto degli errori. Udito ciò, Apollo, porgendogli un sacco di grano non setacciato, gli ordinò di prendere tutta la pula come ricompensa.

   Ora, questa favola è un’ottima risposta come un colpo ben assestato, ai critici. Ma io non sono affatto sicuro che il dio avesse ragione. Non sono per nulla certo che i veri limiti del dovere del critico non siano stati grossolanamente fraintesi. La perfezione, specialmente in una poesia, va forse considerata alla luce di un assioma, che ha bisogno soltanto d’essere posto correttamente perché diventi di per sé evidente. Non è la perfezione la condizione richiesta per essere dimostrata come tale – e così che indicare troppo nei dettagli i meriti di un’opera d’arte è ammettere che complessivamente non sono dei meriti.


[1] Gian Vincenzo Gravina (1664-1718), uno dei fondatori dell’Accademia dell’Arcadia, autore di Della Ragione Poetica (1708).

[2] Minnesingers nel testo originale, in riferimento ai trovatori medievali della lirica cortese di lingua tedesca.

[3] Thomas Moore (1779-1852), poeta irlandese.

[4] Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882).

[5] “Il giorno è finito, e il buio / cade dalle ali della Notte, / come una piuma è portata giù / da un’aquila in volo. // Vedo le luci del paese / brillare tra pioggia e nebbia, / e un senso di tristezza m’invade, / cui la mia anima non sa resistere; // un senso di tristezza e desiderio, / che non è simile al dolore, / e somiglia solo alla pena / come la nebbia somiglia alla pioggia. // Vieni, leggimi una poesia, / un canto semplice e sentito, / che calmerà questa irrequietezza, / e caccerà i pensieri del giorno. // Non dei grandi maestri antichi, / non dei bardi sublimi, / i cui lontani passi riecheggiano / lungo i corridoi del tempo. // Perché, come segni della musica marziale, / suggeriscono i loro potenti pensieri / l’infinito travaglio e lo sforzo di vivere; / e stasera io desidero il riposo. // Leggimi un poeta più umile, i cui canti sgorgano dal cuore, / come gli acquazzoni dalle nubi estive, / o le lacrime dal ciglio delle palpebre; che attraverso lunghi giorni di fatica, / e notti senza agi, / udì ancora nella sua anima la musica / di splendide melodie. // Quei canti sanno acquietare / l’irrequieto pulsare dell’angoscia, / e vengono come la benedizione / che segue dopo la preghiera. // Allora leggi dal tesoro del volume / la poesia che hai scelto, / e presta alla rima del / la bellezza della tua voce. // E la notte si riempirà di musica, / e gli affanni che infestano il giorno, / piegheranno le loro tende, come gli Arabi, / e silenziosamente se ne usciranno.” (N.d.T.)

[6] In francese nel testo originale: insouciance, non curanza. (N.d.T.)

[7] Il cockney è la parlata dialettale di Londra. (N.d.T.)

[8] William Cullen Bryant (1794-1878) (N.d.T.).

[9] “Lì, nelle lunghe, lunghe ore d’estate, / la luce d’oro si poserebbe, / e folte e giovani erbe e gruppi di fiori / starebbero vicino nella loro bellezza. / Il rigogolo farebbe il nido e narrerebbe / il suo racconto d’amore, accanto al mio loculo; / La farfalla oziosa / riposerebbe lì, e lì si udirebbero / l’ape operaia e il colibrì. // E che fa se allegre grida a mezzogiorno / giungono dal paese, / o canti di fanciulle, sotto la luna, / insieme a risa di fate? / E che fa se, nella luce serale, / i fidanzati passeggiano / accanto al mio povero monumento? / Vorrei che la dolce scena intorno / non conoscesse vista o suono più tristi. // Io so, io so che non vedrei / lo splendido spettacolo della stagione, / né la sua lucentezza brillerebbe per me; / né la sua folle musica scorrerebbe; / ma se, intorno al mio luogo di riposo, / gli amici che amo venissero a piangere, / non si affretterebbero ad andare via. / Le dolci arie e i canti, e la luce e i fiori, / li farebbero rimanere accanto alla mia tomba. // Questi riporterebbero ai loro cuori inteneriti / i pensieri di ciò che è stato, / e gli parlerebbero di chi non può condividere / l’allegria della scena; / la cui parte in tutta la pompa che riempie / il cerchio delle colline estive, / è – che la sua tomba è verde; / e i loro cuori gioirebbero profondamente / ad udire la sua voce viva.” (N.d.T.)

[10] “Un senso di tristezza e attesa, / che non è simile al dolore, / e somiglia solo al dolore, / come la nebbia somiglia alla pioggia.” (N.d.T.)

[11] Edward Coate Pinckney (1802-1828) fu un poeta americano molto ammirato da Poe, che lo lesse spesso in pubblico. (N.d.T.)

[12] “Riempio il calice per colei che è fatta / di sola grazia, / una donna, del suo gentil sesso / esempio evidente; / cui i migliori elementi / e le stelle hanno gentilmente donato / una forma così bella che, come l’aria, / è meno terrena che celeste. // Ogni suo tono è una musica in sé, / come quelli degli uccelli al mattino, / e qualcosa più di una melodia/ sta sempre nelle sue parole; / sono loro il conio del suo cuore, / e dalle sue labbra ognuna fluisce / come vedi l’ape carica / scollarsi dalla rosa. // Gli affetti in lei sono come i pensieri, / le misure delle sue ore; / i suoi sentimenti hanno la flagranza, / la freschezza dei giovani fiori; / e le amabili passioni, spesso cangianti, / così la colmano, che appare a sua volta / come la loro stessa immagine, – / L’idolo degli anni passati! // Uno sguardo traccerà del volto luminoso / un ritratto nella mente, / e della sua voce nei cuori riecheggianti / un suono resterà a lungo; / ma la memoria, la mia di lei, / me l’ha resa così tanto cara, / che in punto di morte il mio ultimo sospiro / non sarà per la vita, ma per lei. // Riempio il calice per colei che è fatta / di sola grazia, / una donna, del suo gentil sesso / esempio evidente – / Alla sua salute! E se ci fossero qui sulla terra, / altre di tal foggia, / la vita potrebbe essere tutta una poesia, /e la fatica solo un nome. “ (N.d.T.)

[13] Traiano Boccalini (1556-1613).



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

  • 'Hortense', he used to name her ...

    'Hortense', used name

    Hortense è un nome che suona particolarmente romantico, antico, altolocato, forse udito in qualche film che non ricordo o letto tempo fa tra le pagine di un... Leggere il seguito

    Da  Daniela
    CULTURA, STORIA E FILOSOFIA
  • Requiem

    Requiem

    Grazie alla ristampa delle opere scritte da Ade Capone portate in edicola dall'Editoriale Cosmo sono finalmente riuscito a recuperare anche questo Requiem (in r... Leggere il seguito

    Da  Lafirmacangiante
    CULTURA, LIBRI
  • Top Ten Tuesday: Top Ten Books I've Read So Far In 2015

    Tuesday: Books I've Read 2015

    Top Ten Tuesday Top Ten Books I've Read So Far In 2015 Dopo una settimana di assenza, colpa connessione assente, ritorna Top Ten Tuesday con una bella... Leggere il seguito

    Da  Susi
    CULTURA, LIBRI
  • Teaser Tuesday 129

    Teaser Tuesday

    Buon pomeriggio amici lettori. Giugno è concluso e io mi appresto a leggere un altro libro. Il libro che ho appena inziato è "Harry Potter e il calice di fuoco". Leggere il seguito

    Da  Bookland
    CULTURA, LIBRI
  • Contagious - epidemia mortale

    Contagious epidemia mortale

    Contagious- epidemia mortale di Heny Hobson. con Arnold Schwarzenegger, Abigail Breslin, JRichardso Usa, 2015 genere, horror, drammatico durata, 95' Facendo... Leggere il seguito

    Da  Veripaccheri
    CINEMA, CULTURA
  • Mashrome Film Fest IV Edizione

    Mashrome Film Fest Edizione

    Si svolgerà presso l’Isola Tiberina di Roma la quarta edizione del Mashrome Film Fest: dal 3 al 5 luglio l’Isola del Cinema, nello Spazio Luce e nella sala... Leggere il seguito

    Da  Af68
    CINEMA, CULTURA