Correva l’anno 1997 quando Starship Troopers – Fanteria dello spazio di Paul Verhoeven invase le nostre sale cinematografiche. Oggi è un cult del genere fantascienza. Ad esso s’ispira Edge of Tomorrow di Doug Liman (director del primo The Bourne Identity). Lo sfondo ambientale-narrativo è esattamente lo stesso: una guerra tra uomini e alieni “in veste” di insetti tentacolari. Solo che adesso i soldati indossano esoscheletri armati d’ultima generazione e gli invasori sono iper-veloci e iper-cattivi.
Basandosi sul romanzo omonimo scritto da Hiroshi Sakurazaka e illustrato da Yoshitoshi Abe, Doug Liman vi aggiunge il tema della continua ripetizione degli eventi che, per piccole graduali variazioni, a suon di tentativi, cambiano e procedono. Magister in questo è Il giorno della marmotta con Bill Murray, dove il protagonista è destinato a ripetere all’infinito lo stesso giorno prima di trovare la “chiave” giusta per proseguire. Un’idea forte che si mischia un po’ anche a quel “cosa succedesse se” già visto in film come Sliding doors di Peter Howitt o Lola corre di Tom Tykwer. Due spunti, guerra agli alieni ed eterno ritorno, che ben sviluppati hanno qualcosa di esplosivo.
Protagonisti di Edge of Tomorrow due attori che sembrano aver trovato nel fanta-action una propria dimensione: Tom Cruise dopo Oblivion e Emily Blunt dopo Looper. Due interpreti che certo non brillano in espressività. Tom Cruise, lo sappiamo, ha da sempre una sola espressione che, superati oramai i cinquant’anni, si è fossilizzata. Emily Blunt, seppur più giovane del collega, si adatta a quest’ultimo con un volto perennemente crucciato e preoccupato, ben poco eroico per essere la pulzella d’Orleans della lotta agli alieni.
Vivi. Muori. Ripeti. Questo il triplice comandamento che sin dalla locandina firma la scansione causa-effetto degli eventi nel film. Un’ottica da videogames nella quale ogni volta che si muore si riparte da capo. Ma nel ripetere la difficoltà è non appiattirsi. Pur partendo lemme lemme , Edge of Tomorrow si fa vivace improvvisamente e per una mezz’ora ci cattura in un trip che incuriosisce e affascina. Un trip generato come da un allucinogeno che però, sulla lunga distanza, invece di renderci briosi, dà sonnolenza. E’ questa la fine che purtroppo fa Edge of Tomorrow: involve, si arrugginisce, insomma si ripete. E un po’ muore.
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