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editoria scolastica: digitale sì, ma come?

Creato il 19 novembre 2013 da Mediadigger @mediadigger

In un recente convegno Miur a Pisa intitolato “Uno, nessuno, centomila:Libri di testo e risorse digitali per la scuola italiana in Europa” si è parlato molto di scuola digitale e ancor più di editoria scolastica (per una rapida sintesi in tweet, qui ci sono alcuni storify relativi, mentre chi ha tempo può trovare qui tutti i video degli interventi). Tra i presenti, c’erano Gino Roncaglia, Dianora Bardi e Agostino Quadrino, il quale ha poi sviluppato su una pagina Facebook alcune sue riflessioni post convegno. Come spesso accade per un argomento ormai da mesi al centro di un acceso dibattito, le reazioni sono state molte, differenti e spesso contrastanti. Il nucleo della discussione è il modo in cui l’editoria scolastica dovrebbe interpretare questo passaggio da una didattica erogativa ad una più improntata alla condivisione e da un sistema in cui al centro c’era (e c’è ancora) il libro di testo tradizionale a un nuovo modello in cui i contenuti e i materiali didattici possono venire realizzati dagli insegnanti (anche insieme agli studenti) e diffusi su piattaforme aperte.

Insomma, per dirla in italiano: Open Educational Resources (“risorse educative aperte”, peraltro previste anche dal decreto emanato dalla ministra Carrozza), copyleft, Creative Commons. E gli esempi concreti in qualche modo già ci sono, alcuni dei quali presenti al convegno di Pisa: Dianora Bardi e il suo centro Impara Digitale, Agostino Quadrino e la sua casa editrice Garamond.  Ma in Italia si pensi anche a Oil Project e all’ambiente di apprendimento Didasfera, nonché a insegnanti come Emanuela Zibordi e al suo manualetto su come creare testi scolastici 2.0 con l’ausilio di ciò che offre la Rete in modo aperto, semplice ed efficace.

Dall’altra parte sta l’editoria scolastica che in pochi anni si è dovuta convertire, obtorto collo, ad un nuovo modo di fornire contenuti e materiali. A questo riguardo, mi sembra che si sia ormai arrivati alla terza fase di un percorso: la prima fase (se vogliamo trascurare l’era dei CD-Rom, piena di buone intenzioni e intuizioni – anche di buoni prodotti – ma poco incisiva sul terreno strettamente didattico) è stata quella dei PDF scaricabili dai siti dell’editore o – appunto – da eventuali CD-Rom allegati ai volumi; si tratta di una fase in parte attuale, dato che non pochi editori si affidano ancora a questo tipo di formato (peraltro ancora ignorato da buona parte degli insegnanti).

La seconda fase è quella di materiali didattici integrativi che accompagnano sia il libro cartaceo sia il suo cugino in PDF: video, audio mpr3, animazioni, esercizi interattivi, il tutto inserito in un percorso didattico che fa comunque riferimento al libro adottato, ripercorrendone le unità o capitoli e quindi la struttura di base.

Siamo quindi ancora in una modalità mimetica rispetto al libro di testo, ovvero il cartaceo è ancora il punto di partenza che detta i tempi, gli spazi e le cesure ai contenuti su formati digitali. La terza fase, invece, è quella che ci attende e che la stessa ministra Carrozza ha individuato nei materiali autonomamente prodotti dai docenti (o da docenti e studenti, come anche fanno Emanuela Zibordi, Dianora Bardi e altri) e diffusi all’interno di piattaforme condivise, aperte e collaborative, meno dipendenti dai margini delle pagine, più svincolate dalla narrazione lineare del testo scritto e più ramificate, estese, polifoniche. Queste risorse, dice la ministra nel suo decreto, potranno anche essere adottate dagli insegnanti per integrare, se non eventualmente sostituire, i libri di testo tradizionali.

Alcuni (come Quadrino), già salutano la morte del libro di testo tradizionale, inteso come riferimento autoriale monodirezionale, poco flessibile e non adatto alle nuove dinamiche del sapere, che scorre su altri canali, secondo flussi e fonti differenti e non può essere più relegato in un contesto chiuso e autoreferenziale come un testo cartaceo.

Altri, Roncaglia in primis, auspicano una gradualità in questo passaggio e una convivenza, ancora necessaria, tra testi tradizionali e nuove risorse del sapere in un equilibrio armonico tra granularità e modularità; i testi tradizionali, che hanno dalla loro un’autorialità e una validazione che non può essere sottovalutata e rigettata con una scrollata di spalle – sostiene in sostanza Roncaglia – devono però allo stesso tempo essere integrati, accompagnati e riletti alla luce del nuovo modo di creare conoscenza: insomma, come anche detto nel corso del convegno di Pisa: costruzione lineare e costruzione reticolare sono due metodologie di costruzione dei saperi che possono e devono convivere, per un arricchimento reciproco.

Poi c’è un interessante post di Mario Rotta, il quale precisa un suo commento nella discussione su facebook e che parla di un possibile “modello di business” editoriale in cui l’editore non sia più o non sia solo un fornitore di prodotti, ma anche di servizi; un editore che, attento ai nuovi scenari di self-publishing e OER, si ponga come mediatore tra autori e lettori/utenti in spazi virtuali adeguatemente organizzati e funzionali allo scopo. Quale sia lo scopo preciso ancora non sembra chiarissimo, ma sicuramente la direzione è questa, anche se ad oggi la configurazione del modello è (necessariamente?) nebulosa. Del resto, aveva parlato in modo simile anche Gino Baldi di Giunti Scuola in un Librinnovando romano di qualche mese fa; segno che nell’editoria c’è già il sentore di ciò che potrebbe essere il futuro.

Allo stesso tempo c’è anche un senso di attesa e di velata speranza che il sistema scolastico non crei in tempi rapidi una domanda tale da giustificare lo sforzo (e il rischio) di un tale mutamento di paradigma. Se infatti il Ministero ha individuato le modalità in cui l’innovazione deve essere interpretata (e non è cosa da poco), il passo seguente è quello più difficile, perché concreto, sul campo, nelle aule. Quali ne saranno i tempi e le modalità? Quali le priorità? Sarà un processo omogeneo o saranno privilegiate le solite eccellenze e le iniziative individuali?

E soprattutto, l’editoria accompagnerà questo processo o ne attenderà gli sviluppi e ne osserverà l’evoluzione?


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