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Editoriale. I crimini invisibili.

Creato il 09 dicembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Crimini invisibili è il titolo di un articolo di Franco Capone del 2005. Difficile stabilire la levatura dell’autore, di informazioni in rete ce ne sono poche. Il fatto stesso che l’articolo sia comparso su Focus Storia non è sicuramente rassicurante per chi è alla ricerca di fonti storiche, per poter dar peso a quanto vuole affermare.
Vi assicuro, però, che è un articolo, quantomeno, curioso. Si parla di fascismo, libertà di stampa e di censura.

Crimini invisibili si riferisce, nello specifico, alla censura imposta dal Ministero della Cultura Popolare, più conosciuto come Minculpop, che deteneva il controllo editoriale di tutte le testate presenti nel territorio italiano al tempo del fascismo.

Perché attira il mio interesse e, spero, anche l’interesse di chi vuol passare qualche minuto a leggere queste righe? Perché si tratta della censura sulla stampa che avvolgeva la cronaca nera.

Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime: è libero perché, nell’ambito delle leggi del regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione. (Da un discorso ai giornalisti a Palazzo Chigi di Benito Mussolini il 10 ottobre 1928)

Ora il lettore rabbrividirà di fronte a quella che ritiene, a ragione, una situazione imbarazzante. Sta leggendo l’articolo di un

@Rai @PortaaPorta Bruno Vespa e la Dott.ssa Bruzzone.

@Rai @PortaaPorta Bruno Vespa e la Dott.ssa Bruzzone.

autore che si permette l’ardire di citare nello stesso pezzo: fascismo, Mussolini, Minculpop e censura, senza ancora aver levato scudi o cavernose grida di sdegno. Ma se c’è qualcosa che, forse, di utile portò la censura fascista, fu proprio il nascondere la cronaca nera dagli occhi affamati di orrore e di mistero del lettore medio dei giornali dell’epoca, in modo che la sua attenzione si posasse sul Regime e sul Duce e non sognasse, mai, di emulare certi atroci delitti, molte volte commessi dagli stessi fascisti.

Si anche io ve ne parlo. Del giovane Loris. Ucciso da una madre fuori di sè. Fuori di noi. O forse proprio da noi. Noi, che con la nostra macabra sete di ogni singolo barlume di notizia, diceria o plastico, ci siamo assuefatti alla Vera Cultura Popolare, molto poco fascista e molto nostrana, di godimento aristotelico di una catarsi teatrale, dove la scoperta dell’assassino sembra sollevare il nostro spirito e farci tornare alla normalità. Respirando, dopo giorni, mesi o anni di affannose discussioni con il prossimo. Quando c’è qualcuno che, realmente, non respira più e viene sempre dimenticato.

Ci si ricorda il nome degli assassini, degli attori protagonisti, ma non delle comparse, che al primo atto vengono sepolte.

La madre di Loris, dieci anni fa, raccontava di aver visto Denise (Pipitone ndr), come se sussurrando quel nome si evocassero  telecamere e comparse televisive tanto agognate, che oggi ha, finalmente, conquistato. Nel più facile dei modi che le abbiamo suggerito.

Crimini che, se invisibili, salverebbero vite. E le nostre coscienze.

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