di Giovanni Agnoloni
“Edmund Burke: Sublime e Ombra”, mi verrebbe da intitolare questa intervista al Prof. Giuseppe Panella, critico letterario e docente presso la Scuola Normale di Pisa, autore di una trilogia di saggi sul Sublime, concetto cruciale nell’evoluzione della modernità e della percezione che l’uomo ha di se stesso, al suo interno. I tre libri, tutti editi da Clinamen, sono Il Sublime e la prosa. Nove proposte di analisi letteraria (2005), Storia del Sublime. Dallo Pseudo-Longino alle poetiche della modernità (2012) e Prove di Sublime e altri esperimenti. Letteratura e cinema in prospettiva estetica (2013). La chiacchierata di oggi ci porta al cuore di una questione molto più vicina alla nostra anima e alle nostre paure di quanto non si possa di primo acchito pensare.
- Il Sublime è un concetto metamorfico, che nel tempo ha assunto significati diversi. È per questo che hai deciso di dedicargli una trilogia di saggi?
Certamente. Studiare il Sublime permette di attraversare in maniera trasversale e articolata gran parte della cultura occidentale (filosofica, religiosa, psicologica e soprattutto letteraria) e, di conseguenza, verificare il modo in cui questo concetto che nasce dalla dimensione retorica dell’oratoria e del bello stile approda prima alla letteratura (soprattutto alla poesia e poi al romanzo) e infine alla psicologia del profondo (nel concetto freudiano di Unheimlich, il Perturbante, in primo luogo)…
- Il Sublime come “Bello” e il Sublime come “Orroroso”. Quanto questa ambivalenza è ancora viva, oggi?
È, in sostanza, il punto più importante della questione. Il Sublime come Bello non è più utilizzabile ai fini della ricerca letteraria; il Sublime come Orroroso è al centro della maggior parte della grande letteratura novecentesca (Joyce, Beckett, Broch, Thomas Bernhard). Ho cercato di dimostrarlo nel mio ultimo libro, Prove di Sublime e altri esperimenti.
“L’urlo” di Munch (da parlandosparlando.com)
- La nozione burkiana di Sublime si sovrappone in gran parte a quella di Ombra junghiana e a quella freudiana di “Perturbante”, come hai giustamente osservato. L’orizzonte del Sublime è necessariamente legato al Profondo dell’uomo?
Sì, a differenza del Bello, il Sublime scava in profondità nella dimensione soggettiva e cerca di farne emergere tutto quello che è disarmonico, doloroso, terribile, fonte di paura. È il bacino di scolmatoio delle esperienze che il Bello non può accettare e che la soggettività cerca di esorcizzare attraverso l’espressione artistica. Si pensi a quel capolavoro che è L’Urlo di Munch…
- Quanto resta di Sublime (in qualunque senso lo si intenda) nel mondo ampiamente omologato e “annacquato” di oggi?
Resta tutto quello che la soggettività umana riesce a percepire e che è irriducibile alla logica del puro consumo della merce. La visione delle grandi montagne apparentemente irraggiungibili, il mare in tempesta, la potenza della Natura e, soprattutto, la morte come esperienza assoluta sono forme del Sublime.
- Evocando un aggettivo di “bolañiana” memoria e a me particolarmente caro, quanto il Sublime può dirsi “viscerale”?
Lo è nel momento in cui diventa esperienza personale di confronto con opere d’arte che possono apparire esteriormente disturbanti o sconvolgenti, ma conservano le loro caratteristiche di espressione artistica. Che dire di un quadro come Guernica di Picasso o di un racconto come “I morti” (da Gente di Dublino) di Joyce o La morte a Venezia di Thomas Mann, se non che sono sublimi?
- La letteratura di oggi riesce ancora (e come) a essere “sublime”?
Quando non è pura espressione delle vicende che avvengono nel “tinello di casa” (come direbbe Arbasino), ovvero quando cerca di esplorare questioni di frontiera tra dolore e piacere, tra vita e morte, tra armonia e “disordine” (sempre Thomas Mann) umano. La letteratura riesce ad attingere al Sublime quando dimentica di essere “soltanto” Letteratura…