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educazione siberiana

Creato il 03 marzo 2013 da Albertogallo

EDUCAZIONE SIBERIANA (Italia 2013)

locandina educazione siberiana

Qualcuno, qualche anno fa, ha inventato il neologismo Tornatores, come a dire Gabriele Salvatores + Giuseppe Tornatore, ovvero i due registi italiani attualmente più noti e apprezzati in patria e all’estero, entrambi vincitori di un premio Oscar al miglior film straniero ed entrambi capaci di coinvolgere nelle loro pellicole attori anche internazionali di un certo livello.

Ed entrambi, ahinoi, terribilmente sopravvalutati. Francamente stento a comprendere il motivo di tanto successo (anzi, lo capisco benissimo: la scarsezza di veri autori nel panorama cinematografico italiano e la dabbenaggine del grande pubblico e della critica “specializzata”, cui basta veramente poco per esaltarsi), ché sommando le filmografie dei due si riescono a trovare sì e no tre opere decenti, laddove invece le porcate abbondano. In ogni caso, se il recente La migliore offerta non era il peggior Tornatore, così Educazione siberiana non è il peggior Salvatores. Non ho letto il libro (omonimo, di Nicolai Lilin) da cui è tratto, ma la vicenda, per com’è presentata nel film, mi sembra che ricalchi quasi fedelmente quella di C’era una volta in America: due giovani malavitosi molto amici che crescono insieme, che vivono il lutto per la perdita di un altro membro della loro gang, che finiscono (uno dei due) in carcere per aver accoltellato un poliziotto, che vengono divisi da una figura femminile e che alla fine, nemici per la pelle, arrivano alla resa dei conti, in cui uno uccide l’altro – o meglio, in cui uno dei due si fa suicidare dall’altro. Ma sicuramente non sarò il primo ad aver notato tutte queste somiglianze, e ci scommetto quello che volete che qualcuno da qualche parte ha scritto un articolo o un post intitolato “C’era una volta in Russia”.

In ogni caso, al di là della scarsa originalità della vicenda, ambientata appunto in Russia sul finire dell’epoca sovietica, c’è da dire che la storia di Kolyma e Gagarin non gode, in questa trasposizione cinematografica, del trattamento “d’autore” che avrebbe potuto renderla decisamente più interessante. Insomma, non siamo dalle parti di un (efficace) realismo alla Gomorra o di un (quasi altrettanto riuscito) manierismo alla Romanzo criminale. L’impressione è che Salvatores abbia cercato di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, girando un film realista ma non troppo, violento ma non da mettersi le mani davanti agli occhi, poetico ma solo in un paio di scene (come quelle delle colombe in volo, peraltro superkitsch), per non esagerare. Il risultato è un ibrido che non convince affatto, e che spesso, per di più, sa tanto di riassunto: la scena, ad esempio, in cui Kolyma finisce in un carcere che al suo interno è organizzato come una piccola comunità pacifica, in cui ognuno ha un suo preciso ruolo, sembrerebbe promettere bene, ma finisce subito, come troncata a metà.

A riscattare – parzialmente – la pellicola interviene fortunatamente la grande interpretazione dell’infallibile John Malkovich, laddove invece il resto del cast è piuttosto scarso e anonimo (ma c’è una piccola parte anche per l’ottimo caratterista svedese-americano Peter Stormare). Musiche dell’ex PFM Mauro Pagani, dimenticabili come il resto del film.

Alberto Gallo



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