TRAMA DEL FILM EDUCAZIONE SIBERIANA:
“L’educazione siberiana” è uno strano tipo di “educazione”. E’ un’educazione criminale, ma con
precise e, a volte sorprendentemente condivisibili, regole d’onore. La storia si svolge in una regione
del sud della Russia e abbraccia un arco di tempo che va dal 1985 al 1995. In quegli anni avviene
uno dei più importanti cambiamenti della nostra storia contemporanea: la caduta del muro di
Berlino e la conseguente sparizione dell’Unione Sovietica con tutto quello che questo evento ha
poi comportato nei rapporti economici e sociali dell’intero pianeta. Ispirato all’omonimo romanzo
di Nicolai Lilin (edito da Einaudi), in cui l’ autore racconta la sua infanzia e la sua adolescenza
all’interno di una comunità di “Criminali Onesti” siberiani, così come loro stessi amano definirsi,
il film racconta la storia di ragazzi che passano dall’infanzia all’adolescenza, e della comunità
in cui sono cresciuti, rappresentando, attraverso un microcosmo molto particolare, una storia
universale che, al di là delle implicazioni sociali, acquista un significato metaforico che riguarda
tutti noi.
USCITA CINEMA: 28/02/2013
GENERE: Drammatico
REGIA: Gabriele Salvatores
SCENEGGIATURA: Stefano Rulli, Sandro Petraglia, Gabriele Salvatores
ATTORI:
John Malkovich, Arnas Fedaravicius, Vilius Tumalavicius, Eleanor Tomlinson, Peter Stormare
SOGGETTO:
Dal romanzo omonimo di Nicolai Lilin (Ed. Einaudi)
Gabriele Salvatores cambia nuovamente abito cinematografico, adatta l’omonimo romanzo diNicolai Lilin e guarda a by CouponDropDown"> by CouponDropDown"> by CouponDropDown"> by CouponDropDown">modelli dritto a modelli che ambiscono, legittimamente, alla formazionedi un cinema di genere che abbia un respiro sovranazionale. Nel farlo, e con il supporto dispecialisti come Rulli & Petraglia, sottrae alla storia originale ogni ruvidezza e conflittualità,ripiegando verso terreni intimi che suonano come un aggrapparsi a sé stesso. E manca così cosìl’occasione di perdersi, di sporcarsi, di contaminarsi. Di farsi trascinare via da una storia e daun’emozione.RECENSIONE:
È un po’ il trasformista del cinema italiano, Gabriele Salvatores.
Uno dei pochi che persino (o forse proprio) con un Oscar in tasca ha cambiato spesso e volentieri
d’abito il suo cinema, confrontandosi con generi e stili diversi, abbracciando con la medesima
imperturbabilità successi e insuccessi, le scivolate e le conquiste.
Ma sotto il vestito, il regista milanese è rimasto sempre lui, fedele a sé stesso e alle sue ossessioni,
essenziale e quasi monacale nella sua dedizione.
Allora ecco che persino in territori geograficamente e narrativamente inesplorati, per lui,
Salvatores si aggrappa a sé stesso: mancando però così l’occasione di perdersi, di sporcarsi,
di contaminarsi. Di farsi trascinare via da una storia e da un’emozione.
Educazione siberiana sta al suo omologo letterario come un cane abituato all’uomo sta ad un lupo
selvaggio. È racconto addomesticato, privato delle sue asperità, del suo carattere più difficile,
adattato alle esigenze del suo padrone.
Grazie anche al contributo di due esperti del settore come Rulli e Petraglia, Salvatores ha
guardato dritto a modelli che ambiscono, legittimamente, alla formazione di un cinema di genere
che abbia un respiro sovranazionale, dai Romanzi criminali a quelli di una strage: e in quella
confezione – depurata il più possibile da ogni elemento disturbante, come lo stile degli sceneggiatori
richiede – ha inserito una storia d’amicizia maschile travagliata e minata dalla perturbanza
femminile che ricorda smaccatamente quella di Turnè ma anche by CouponDropDown"> by CouponDropDown"> by CouponDropDown"> by CouponDropDown">dettagli e sfumature di tantissimo
altro suo cinema; ma anche le difficili maturazioni di Io non ho paurao Come Dio comanda.
Tutto lecito, tutto possibile, tutto persino declinato con rigorosa correttezza. Fin troppo.
Perché l’imperturbabile Salvatores, il regista che parla con soavità quasi buddista e che pare
costantemente proiettato verso la ricerca di una serena atarassia, pare aver infuso quello stesso
atteggiamento al suo film.
Levigato ed elegante, Educazione siberiana pare fresco di bucato e reduce da otto ore di sonno
rigenerante anche quando esplodono le risse e guizzano le lame, si guerreggia nel Caucaso,
quando muore un compagno e quando antichi codici d’onore vengono infranti, amicizie spezzate,
vendette compiute.
Persino nell’unico momento in cui s’abbandona, e si concede un giro di giostra e una canzone di
Bowie,Salvatores appare trattenuto; nostalgico rispetto a quel che non è più, e non spinto
verso la conquista di un futuro.
Quel futuro che appare incerto e misterioso, quello cui va incontro il protagonista Kolima,
condannato alla solitudine, alla ricerca utopica della ricomposizione di qualcosa che, insieme,
sano, non tornerà mai.
Forse allora questa siberiana di Salvatores è per lui l’unica educazione possibile al giorno
d’oggi: l’educazione al dolore, alla solitudine e compiere passi incerti e solitari verso un domani
che non vediamo e non possiamo prevedere.
È un po’ il trasformista del cinema italiano, Gabriele Salvatores.
Uno dei pochi che persino (o forse proprio) con un Oscar in tasca ha cambiato spesso e volentieri
d’abito il suo cinema, confrontandosi con generi e stili diversi, abbracciando con la medesima
imperturbabilità successi e insuccessi, le scivolate e le conquiste.
Ma sotto il vestito, il regista milanese è rimasto sempre lui, fedele a sé stesso e alle sue ossessioni,
essenziale e quasi monacale nella sua dedizione.
Allora ecco che persino in territori geograficamente e narrativamente inesplorati, per lui,
Salvatores si aggrappa a sé stesso: mancando però così l’occasione di perdersi, di sporcarsi,
di contaminarsi. Di farsi trascinare via da una storia e da un’emozione.
Educazione siberiana sta al suo omologo letterario come un cane abituato all’uomo sta ad un
lupo selvaggio. È racconto addomesticato, privato delle sue asperità, del suo carattere più difficile,
adattato alle esigenze del suo padrone.
Grazie anche al contributo di due esperti del settore come Rulli e Petraglia, Salvatores ha guardato
dritto a modelli che ambiscono, legittimamente, alla formazione di un cinema di genere che
abbia un respiro sovranazionale, dai Romanzi criminali a quelli di una strage: e in quella
confezione – depurata il più possibile da ogni elemento disturbante, come lo stile degli sceneggiatori
richiede – ha inserito una storia d’amicizia maschile travagliata e minata dalla perturbanza
femminile che ricorda smaccatamente quella di Turnè ma anche by CouponDropDown"> by CouponDropDown"> by CouponDropDown"> by CouponDropDown">dettagli e sfumature di tantissimo
altro suo cinema; ma anche le difficili maturazioni di Io non ho paurao Come Dio comanda.
Tutto lecito, tutto possibile, tutto persino declinato con rigorosa correttezza. Fin troppo.
Perché l’imperturbabile Salvatores, il regista che parla con soavità quasi buddista e che pare
costantemente proiettato verso la ricerca di una serena atarassia, pare aver infuso quello stesso
atteggiamento al suo film.
Levigato ed elegante, Educazione siberiana pare fresco di bucato e reduce da otto ore di sonno
rigenerante anche quando esplodono le risse e guizzano le lame, si guerreggia nel Caucaso,
quando muore un compagno e quando antichi codici d’onore vengono infranti, amicizie spezzate,
vendette compiute.
Persino nell’unico momento in cui s’abbandona, e si concede un giro di giostra e una canzone di
Bowie,Salvatores appare trattenuto; nostalgico rispetto a quel che non è più, e non spinto
verso la conquista di un futuro.
Quel futuro che appare incerto e misterioso, quello cui va incontro il protagonista Kolima,
condannato alla solitudine, alla ricerca utopica della ricomposizione di qualcosa che, insieme,
sano, non tornerà mai.
Forse allora questa siberiana di Salvatores è per lui l’unica educazione possibile al giorno d’oggi:
l’educazione al dolore, alla solitudine e compiere passi incerti e solitari verso un domani che non
vediamo e non possiamo prevedere.