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Dovrebbe essere un controsenso, ma anche non rispettare la legge invece può essere fatto seguendo un insieme di regole con cui, chi la infrange, ha il diritto di continuare a considerarsi persona onesta, poiché utilizzatore di quella violenza necessaria a stabilire, artificialmente, un ordine chiamato, nel linguaggio più comune, giustizia.
Diciamo che quella concepita da “Educazione Siberiana” però non è più una tematica che lascia di sasso oggigiorno, molti sono gli esempi pubblicati ormai - non solo al cinema ma anche in televisione - in cui il cattivo di turno agisce secondo un codice prestabilito, dove l'intento è quello di causare un bene destinato ad andare oltre il proprio bisogno personale, serie televisive come "Dexter", tra l’altro, hanno trovato proprio in questo fortuna e grande riscontro di pubblico. Per cui, sotto questo aspetto, la pellicola diretta da Gabriele Salvatores non brillava certo di originalità o progresso - anche se qui a seguire un codice non è una persona sola, bensì una comunità - che, del resto, mancavano anche in ciò che apparteneva alla trama principale: cucita sulla grande amicizia di due amici destinata a trasformarsi nell'esatto contrario durante i dieci anni in cui il racconto si snoda (1985-1995), alterata dai mutamenti della Storia e dalle sopraffazioni imprevedibili della vita.
Ambientato nel ghetto siberiano di Fiume Basso, popolato dai poveri e i meno fortunati che la dittatura di Stalin ha allontanato ai margini del paese, la pellicola di Salvatores punta a raccontare perciò più che i suoi personaggi - su cui comunque spicca un John Malkovich strepitoso - una cultura e un insegnamento alla vita, che poi è prima di tutto insegnamento alla sopravvivenza. Non potendo contare su uno script innovativo allora "Educazione Siberiana" si concentra per utilizzare nel migliore dei modi le frecce che porta dentro al suo arco, e con una regia sobria e curata, un cast ben amalgamato e una rivisitazione scenograficamente elegante dell’Unione Sovietica degli anni ottanta e novanta, restituisce allo spettatore quel senso di racconto epico e - più di ogni altra cosa - personale, così sentito e sofferto da convincere sotto ogni punto di vista, e senza mai tirare assolutamente il fiato dalla stanchezza.
Tratto dall’omonimo libro scritto dal russo Nicolai Lilin - da cui la pellicola ha deciso di staccarsi leggermente per avere più libertà e aggiungere un tocco distintivo - di “Educazione Siberiana” rimangono quindi i nitidi insegnamenti esclusivi e graditi con cui nonno Malkovich alleva nipote e compagnia, ma soprattutto un'ottima ricostruzione degli usi e i costumi di una collettività sui cui Salvatores ha forgiato, con caparbietà e furbizia, i muri maestri del suo rispettabilissimo lavoro.
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