Ogni anno, in un determinato periodo, l'opinione pubblica più coltivata si ritrova a discutere il merito reale dei premi Nobel. E non solo letterari, dove la disparità di opinioni è pari a quella delle tifoserie calcistiche. Alcuni di questi dibattiti hanno valore retroattivo. È il caso del portoghese António Caetano de Abreu Freire Egas Moniz, medico dall'aria paciosa, il parrucchino buffo, ma carattere caparbio e fin troppo quadrato. Vinse il Nobel per la medicina nel '49. Oggi, nel mondo, esistono gruppi che fanno pressione affinché gli venga postumamente tolto. Se accadesse, sarebbe la prima volta. Intanto, in patria, un suo ex assistente, il neurochirurgo João Lobo Antunes, ha pubblicato una biografia che mira a riabilitarlo. È un libro onestamente di parte e la storia merita comunque d'essere raccontata.
Vissuto a cavallo di due secoli, il neurologo Egas Moniz è un esponente di quella solida borghesia positivista, materialista, moderatamente (nel suo caso) repubblicana, che in Portogallo, nel 1910, abbatté una monarchia invecchiata male, ma non riuscì a risparmiare al Paese nuove e peggiori turbolenze. Impegnato per anni in politica, solo nel 1919, a 45 anni, decise di dedicarsi esclusivamente alla professione medica e, dopo i 50, alla ricerca scientifica. Lo stesso biografo, pur benevolo, lo definisce "scienziato improbabile e tardivo".
Diciamo subito, invece, che come scienziato precoce Egas Moniz aveva esordito con una pubblicazione all'epoca tutt'altro che bislacca, godendo di buon successo persino editoriale: un saggio sulla vita sessuale, frutto dell'elaborazione di tesi e dissertazioni legate alla sua carriera universitaria. In esso si leggono cose come (cito dalla biografia): "L'uomo è essenzialmente sessuale, la donna è essenzialmente madre. Tutto quanto si allontani da ciò è anormale", oppure: "Sono contrario alla verginità dell'uomo fino al matrimonio, essa mi pare ineseguibile". Intanto, però, diventato perito giuridico, si esprimeva a favore dell'annullamento di un matrimonio in cui il marito, la prima notte, aveva scoperto la moglie poco vergine e un poco incinta. Costei, denuncerà il nostro neurologo nel verbale: "Aveva portato all'interno del focolare domestico [...] l'irrimediabile difetto fisico dell'ingravidamento". In questi e in altri scritti della "maturità", Egas Moniz tocca, con accenti che vi lascio immaginare, anche temi come l'omosessualità o il ripopolamento dell'Europa dopo la Seconda Guerra mondiale per mezzo di pratiche eugenetiche. Pratiche i cui effetti nel '45 avrebbero dovuto provocare qualche ripensamento più profondo.
Malgrado l'intento dichiarato di Lobo Antunes di rilanciare, pur senza occultarne le ombre, una figura a suo dire geniale della medicina moderna, uno dei problemi sollevati implicitamente è proprio la questione del come controllare una certa capacità tecnologica quando essa è raggiunta da una classe dirigente impregnata di una cultura quantomeno discutibile. In fondo non è di questo che parliamo quando parliamo degli orrori del nazismo o dell'eventualità di una guerra nucleare? Intriso di cultura organicistica, Egas Moniz non fabbricò bombe, ma si mise alla ricerca delle cause organiche della malattia mentale quando la definizione stessa di malattia avrebbe richiesto una precisazione filosoficamente più carrozzata. Le sue ricerche sfociarono nell'invenzione di due tecniche: l'angiografia, cioè la possibilità di radiografare il cervello attraverso l'iniezione di un liquido di contrasto nelle arterie cerebrali; la leucotomia, parola poco nota perché presto sostituita dal ben più malfamato sinonimo "lobotomia", cioè l'asportazione di parte dei lobi frontali dal cervello dei supposti malati di mente.
È ancora una volta il benevolente biografo a elencare le fasi di sperimentazione poco ortodossa e le percentuali inizialmente molto alte di risultati nulli, discutibili e/o indiscutibilmente dannosi (cioè i decessi). Tutti fatti che, secondo qualsiasi moderno principio etico-professionale, avrebbero bloccato ogni altro esperimento e spedito l'esimio dottore in tribunale. Eppure Egas Moniz fu sempre uno scienziato con ottimi agganci in patria e fuori. Amico personale di Joseph Babinski (il medico di Proust e allievo di Charcot scrisse la prefazione a uno dei trattati più importanti del portoghese), Egas Moniz sarà l'ispiratore di neurochirurghi in tutta Europa (in Italia i manicomi di Racconigi e Trieste praticavano centinaia di lobotomie già a metà degli anni '30), fino al successo su scala industriale negli USA, dove il famigerato Walter Freeman, una sorta di Henry Ford della neurochirurgia, svilupperà un sistema così efficace e veloce (penetrava nel cranio martellando su uno stiletto rompighiaccio) da effettuare svariate operazioni al giorno in pochi minuti e senza muoversi dal suo ambulatorio.
Sotto queste mani agili ed esperte passarono uomini inquieti, donne depresse e bambini iperattivi, tutti anestetizzati da una calibrata scarica di elettroshock. Una falcidia interclassista che non risparmiò ricchi e potenti, come Rosemary Kennedy, sorella di JFK. I suoi comportamenti sessuali preoccupavano la famiglia che, a 23 anni, ne decretò la retrocessione in serie B: fu operata e rimase una minorata mentale per il resto della sua lunga vita. In Portogallo toccò a Teresa Barros, moglie di Marcello Caetano, il dittatore che avrebbe preso il posto di Salazar alla Presidenza del consiglio. La donna soffriva di una forte depressione che non le permetteva di governare la casa. Dopo l'intervento, raccontò poi la figlia, si notarono netti miglioramenti: "I suoi sentimenti si erano fatti meno intensi". Tra gli effetti collaterali di questa desiderata riduzione dei sentimenti vi fu l'invecchiamento precoce, che in breve non le avrebbe permesso di salire e scendere le scale di casa. Non sappiamo se, da allora, l'abbia governata meglio.
Secondo Lobo Antunes, la riabilitazione di Egas Moniz dovrebbe godere degli sconti del relativismo storico, nota teoria secondo cui l'agire umano andrebbe inscritto nel quadro dei valori di un'epoca. Le obiezioni possibili sono due: la prima ci impone di analizzare proprio il complesso dei valori culturali di quell'epoca. Tanto per fare un esempio: dai seminari di Charcot alla Salpȇtrière discendono strizzacervelli di varia specie, ma anche un Freud, ossia l'ipotesi di poter trattare il malessere mentale attraverso il dialogo, la riflessione, l'autoanalisi. Quasi coetaneo di Egas Moniz fu Eugène Minkowski, che un breve salto generazionale separa da Georges Canguilhem; pensatori, questi, che hanno abbattuto molti paletti fra normale e patologico in un dibattito che proprio in ambito psichiatrico darà i suoi frutti maggiori, spianando la strada a gente come Michel Foucault o Franco Basaglia, che si laureava a Padova proprio l'anno del Nobel al portoghese. Il quale certo riderebbe dei logorroici, prolissi tentativi di psicoanalisti e "antipsichiatri" di riportare l'esercito dei devianti sulla retta via. È noto inoltre che la lobotomia venne accantonata solo dopo la scoperta degli psicofarmaci, cioè di un intervento sul cervello a livello molecolare che discenderebbe proprio dall'organicismo dei lobotomisti. Ma qui scatta la seconda obiezione, che a qualche scienziato parrà il dubbio ingenuo di un lettore naïf di bestseller. Se neurologi come Oliver Sacks (acerrimo critico dei lobotomisti, dedicò loro un capitolo di Un antropologo su Marte; Lobo Antunes lo liquida appunto come "autore di bestseller"), mettono in guardia dal perturbante fatalismo secondo cui tutto sarebbe già programmato nei recessi oscuri dei nostri neuroni dove la malattia si ridurrebbe alla sua visibilità microscopica, perché accettare il determinismo storico, scientificamente ancor meno fondato, di chi ci dice che, dati certi valori di un'epoca, le cose non sarebbero potute andare diversamente? Contro tale inatteso povvidenzialismo laico, proprio per difendere la Provvidenza divina e maiuscola, si scagliava il più noto fra i nostri scrittori provvidenzialisti. Nella sua Storia della colonna infame, Alessandro Manzoni afferma che giustificare tutto con "l'ignoranza dei tempi e la barbarie della giurisprudenza" induce a "cavare un errore dannoso da dove si può avere un utile insegnamento". E conclude: "L'ignoranza in fisica può produrre degl'inconvenienti, ma non delle iniquità". Entrare nella testa della gente a martellate, ammettiamolo, fu un po' iniquo, oltre che maleducato.
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