[Fonti: Al Ahram, The Egyptian Gazette – Ottobre 2013]
Due messe in scena si sono confrontate il 6 ottobre scorso a Il Cairo in Egitto, in occasione della commemorazione della vittoria su Israele nella guerra del 1973. Da una parte mega cartelloni in Piazza Tahrir ed in altre piazze dell’Egitto, invocanti al patriottismo, dall’altra grandi manifestazione di fedeltà alla Fratellanza Musulmana (FM). L’intento evidente della FM era di impedire il pacifico svolgersi delle manifestazioni ufficiali e contestualmente mandare un messaggio a tutte le cancellerie estere: nessuna pacificazione era possibile se non attraverso nuove elezioni.
Il prezzo pagato dalla FM per questi obiettivi è stato elevato: 55 giovani uccisi negli scontri, 300 feriti e 500 arrestati. Ma l’obiettivo centrale, entrare in Piazza Tahrir con quattro cortei provenienti da varie parti della città, è stato mancato. Le forze di sicurezza hanno ingaggiato i dimostranti con forza e determinazione per impedire la loro entrata nella piazza, dove, in caso contrario – è il parere di tutti gli osservatori – sarebbero avvenuti scontri ancora più sanguinosi fra i militanti di FM e coloro che presidiavano la piazza “ufficiale”.
La sconfitta politica sofferta dalla FM in piazza il 6 ottobre mette in ulteriore difficoltà la sua leadership interna oggi costituita dalle seconde e terze linee della gerarchia interna, che mancano di esperienza e acume politico, accentuando l’influenza che su di essa gioca la gerarchia “internazionale” esterna e segnatamente i nuovi gruppi armati che operano nel Sinai. Questa accentuata influenza delle centrali internazionali dell’islamismo politico a sua volta giustifica la retorica del regime militare, che tratta il confronto con la FM come un problema di “lotta al terrorismo” e non di “democrazia” interna.
D’altronde è un fatto che le celebrazioni del 6 ottobre in Piazza Tahrir sono state un successo pieno per il Ministro della Difesa, Generale Al-Sisi, – l’unica autorità ufficiale a prendere la parola – i cui ritratti erano presenti ovunque in mezzo alle bandiere nazionali. Non solo: per la prima volta era presente in piazza la vedova di Sadat seduta insieme a numerose delegazioni ufficiali di altri paesi arabi. Un altro messaggio chiaro che Al-Sisi non ha mancato di sottolineare nel suo discorso: “il 6 ottobre è un giorno di vittoria per tutti gli arabi”. Insomma un’atmosfera del tutto diversa dalle celebrazioni del 2012, dominate dagli islamisti, fra cui anche esponenti della Jihad Egiziana responsabile dell’assassinio di Anwar Al-Sadat.
Per alcuni osservatori la sconfitta della FM va al di là della gestione fallimentare degli scontri di piazza: non essere riusciti ad impedire la commemorazione della Vittoria, sarebbe una sconfitta strategica alienando alla FM ogni possibilità di giocare un ruolo nazionale in futuro nella sfera politica egiziana se non addirittura posizionandola nella “trincea del nemico”.
Così sembra di poter dire che il generale Al-Sisi abbia giocato e vinto una partita importante per la stabilità del governo provvisorio e per il suo destino personale, tanto che molti scommettono sulla sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali (che il governo provvisorio deve ancora fissare). Intenso è stato anche il suo attivismo sul fronte mediatico nelle ultime settimane, fra cui va annoverata un’intervista ad un quotidiano nazionale in cui pur non chiarendo le sue intenzioni personali ha sostenuto che “i militari sanno bene che non devono gestire direttamente la scena politica; il potere deve rimanere nelle mani di un governo e di una presidenza civile, come condizione per uscire da ogni crisi”.
Se dunque sul fronte interno il regime militare sembra godere di una relativa stabilità, molto più turbolenta è la situazione sul fronte delle relazioni con gli USA. La recente decisione di Washington di “sospendere” una parte degli aiuti economici e militari è stata chiaramente connessa dall’Amministrazione USA alle più generali pressioni della stessa per accelerare la roadmap verso elezioni libere ed un nuovo un governo civile. La replica ufficiale egiziana è stata di forte critica nei confronti di una decisione giudicata strana ed incomprensibile se inserita nella difficile fase di “guerra al terrorismo” che l’Egitto – secondo il governo provvisorio – sta attraversando.
A noi però interessa qui verificare se il disaccordo rappresenti solo una normale schermaglia oppure sia specchio di un vero e proprio disallineamento fra le direzioni strategiche di due governi finora alleati.
A questo proposito due questioni non hanno ricevuto l’attenzione che secondo noi meritano. Le attività terroristiche in Egitto negli ultimi tempi sono andate molto al di là dei confini della lotta tribale nel Sinai, dove – per varie ragioni – è stata finora tollerata da tutte le patti in campo. Ci sono segnali concreti di legami fra le attività di lotta armata nel Sinai con quelle nel Sahel a ovest e in Somalia a sud-est. Contrastare questi legami richiede un livello di cooperazione internazionale simile a quello messo in campo da USA, Russia ed Iran per la recente crisi delle “armi chimiche” in Siria.
A proposito della Siria – ed è il secondo episodio significativo – l’Egitto, in una riunione fra ministri degli esteri di paesi arabi tenutasi prima della riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che doveva discutere della possibile missione militare USA, si è espresso contro una dichiarazione che desse il via libera ad attacchi USA di qualsiasi natura.
Se dunque da una parte lo strumento della “lotta al terrorismo” usato sul fronte estero potrebbe costituire per l’Egitto la chiave per costruire una posizione di minor dipendenza dagli USA, dall’altra, quando lo stesso strumento fosse usato sul fronte interno, potrebbe permettere il consolidarsi di una nuova elite egiziana “nazionale” che otterrebbe anche il consenso degli islamisti moderati, una volta disconnessi da qualsiasi legame con l’islam rivoluzionario internazionale.
Come ha detto il Generale Al-Sisi il 6 ottobre in Piazza Tahrir, con parole semplici e dirette che hanno colpito profondamente gli egiziani:” L’Egitto non dimenticherà mai chi stava da una parte e chi stava dall’altra”. A chi fossero dirette queste parole era chiaro a tutti dentro e fuori l’Egitto.