Mi sono tornati alla mente i giorni passati al Cairo durante il mio viaggio in Egitto quasi due anni fa, quando vedevo quotidianamente migliaia di persone raccolte in Piazza Tahrir domandare libertà e diritti in seguito alla caduta del regime di Mubarak. Sia ben chiaro: io non sono un esperto della crisi egiziana e non è mia intenzione offrire un’interpretazione conclusiva della situazione, ma cerchiamo almeno di capire a grandi linee cosa è successo.
In seguito a una violenta insurrezione popolare, nel febbraio del 2011 il popolo egiziano, appoggiato dai vertici militari, è riuscito a rovesciare il regime di Hosni Mubarak, l’uomo che per trent’anni ha governato il Paese senza quasi opposizione e il cui governo è stato ampiamente accusato di corruzione, nepotismo e tendenze liberticide. Tra i maggiori perseguitati dal regime decaduto, i Fratelli Musulmani sono un movimento nato tra la prima e la seconda guerra mondiale con lo scopo di abbattere i regimi laici dei paesi musulmani – i cosiddetti “faraoni” – e instaurare dei governi basati sul corano e la sharìa, la legge islamica. Ancor prima delle caduta di Mubarak, i Fratelli Musulmani si erano dissociati dalle loro frange più estremiste e violente per cominciare un percorso di inserimento nello scenario politico istituzionale. Morsi, il loro candidato per le presidenziali del 2012, è stato democraticamente eletto dal popolo egiziano, ma ha fallito nel proporre politiche di reale rinnovamento per il Paese e, cosa ancor più grave, ha relegato in un angolo ogni forma di opposizione rifiutando qualunque dialogo.
Negli ultimi mesi in Egitto è sorto un altro movimento dalle ceneri della Rivoluzione – il Tamarrud, “Ribellione” – per chiedere la destituzione di Morsi e nuove elezioni. Dopo vari scontri che sono costati la vita a decine di manifestanti, era stata realizzata un petizione che raccoglieva 22 milioni di firme (l’Egitto ha circa 84 milioni di abitanti), ma l’esercito, temendo che la situazione degenerasse in una guerra civile, è intervenuto, offrendo a Morsi un ultimatum di 48 ore per venire a patti con i rivoltosi. Non essendoci stato un seguito positivo all’ultimatum, l’esercito – che in Egitto ha sempre avuto il valore di un secondo governo, da quando i “liberi ufficiali” guidati da Nasser hanno deposto re Farouq ponendo termine a una disastrosa sudditanza nei confronti dei poteri occidentali – ha arrestato Morsi e i leader dei fratelli Musulmani, insediando alla presidenza il giudice supremo Adly Mansour che per prima cosa ha sciolto il Consiglio della Shura e ha annunciato il varo di una nuova costituzione. L’allontanamento di Morsi e dei Fratelli Musulmani è stato salutato con entusiasmo in tutto l’Egitto e in molti altri paesi arabi, ma i sostenitori dell’ex presidente stanno ancora manifestando contro il golpe e si temono scontri violenti con il Tamarrud.
È ovvio che la mia scarsa conoscenza della situazione è basata su informazioni di seconda – o terza, quarta, quinta… – mano, e che molti aspetti mi sfuggono. Non escluderei che forze europee e Stati Uniti abbiano dato una mano a chi ritenevano più “idoneo” per governare l’Egitto, non sarebbe la prima volta. Ma l’evidenza più schiacciante, ai miei occhi, è la devastante spaccatura del Paese che ha soffocato sul nascere la sua neonata democrazia. Evidentemente qualcuno questo Morsi lo aveva votato. Altrettanto evidentemente il colpo di stato è avvenuto con il favore di circa metà della popolazione votante. Il problema non è chi avrà ragione, ma cosa ne sarà di chi cadrà nel torto perché superato in numeri o forza. La democrazia, è stato giustamente detto in questi giorni, si regge sul dialogo, oltre che sul diritto al voto. E il popolo – ahimè – non ha necessariamente ragione solo perché sono in tanti, altrimenti non sbaglierebbe un’elezione.
Ma tutto questo l’ho portato alla vostra attenzione perché mia cugina voleva andare in viaggio di nozze in Egitto. E come lei, sono certo che molti altri italiani avranno prenotato la classica settimana invernale a Sharm, Hurgada o Marsa Alam. Lo so bene che, in confronto al dramma in atto in Egitto, le nostre vacanze sono cosa di ben poco conto, ma dal momento che potrebbe andarne della nostra sicurezza ho voluto raccogliere alcune indicazioni fornite dalle fonti istituzionali.
Il Ministero degli Esteri italiano riporta che il grado di sicurezza dei viaggiatori in Egitto è in continua evoluzione. Viene sconsigliato di viaggiare nelle grandi città – come Cairo, Alessandria, Suez, Ismailia, Port Said – dove continueranno a svolgersi manifestazioni che potrebbero degenerare in scontri, ma i principali centri sul Mar Rosso non presentano alcun segnale di pericolo. Il Foreign and Commonwealth Office del Regno Unito riporta più o meno le stesse notizie, sottolineando la raccomandazione a intraprendere viaggi verso l’Egitto solo se strettamente necessario, ad eccezione dei viaggi verso le località del Mar Rosso che non presentano alcun pericolo. Inoltre non sconsiglia di fare scalo all’aeroporto del Cairo, a patto di non abbandonare la struttura aeroportuale.
Al di là delle ovvie precauzioni che i ministeri sono soliti fornire ai propri cittadini, non ci sono ragioni per ritenere che i visitatori stranieri in Egitto siano in pericolo, soprattutto se evitano le grandi metropoli e le aree urbane teatro di manifestazioni. I disagi maggiori potrebbero giungere da un’eventuale chiusura degli aeroporti. Per questa o qualunque altra emergenza è possibile contattare l’Unità di Crisi della Farnesina al numero 0636225 o all’indirizzo [email protected], per verificare la presenza di piani di evacuazione e ricevere gli aggiornamenti sulla situazione.
Se anche voi avete dei consigli o dei dubbi riguardo a un eventuale viaggio in Egitto, condivideteli con noi: viaggiare è un esperienza straordinaria, e per non guastarla val ben la pena seguire tutte le precauzioni necessarie.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.
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