Anche a me come a Francesco Pacifico capita spesso di mettermi a copiare brani tratti da grandi libri. La sola differenza è che il mio è un piacere clandestino che mai mi sarei sognato di confessare pubblicamente. Pacifico, invece, ci ha scritto su un libro. Il suo coming out mi incoraggia, spronandomi all’autodenuncia.Sembro un masochista, vero? In realtà sono un sadico che mette in atto la regola aurea: “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te” (battuta non mia). In pratica: se leggessi Piperno (gli articoli) e non lo dicessi, sarei solo un masochista; invece, invitando anche altri a leggerli, sono un sadico. Tutto chiaro? No, ma non importa. Conciossiacosaché l'apocalisse è vicina:
Certo, sarei estremamente più selettivo nella scelta dei testi da copiare ma per il resto mi atterrei alla rigida disciplina del copista: copia copia e non rompere. Sai che pacchia. Te ne stai lì tutto il giorno a copiare Anna Karenina, come Pierre Menard, lo stravagante personaggio borgesiano che credeva di stare riscrivendo il Don Chisciotte sebbene lo stesse semplicemente ricopiando parola per parola. Esiste vita più tranquilla di quella dell’amanuense? Nessuno ti stressa. Nessuno ti esalta, nessuno ti stronca. Nessuno ti dà i voti. Nessuno ti insulta. Nessuno ti chiede di essere originale, proprio perché la tua professione consiste nel non esserlo affatto. Del resto, perché menarsela tanto con questa storia dell’originalitàOra sembra che io sia un invidioso perché Piperno ha la patente per scrivere sulle pagine culturali dell'inserto del Corsera e perdipiù ricevendo lauti compensi (chissà quanto, sono curioso). Ma non è così, credetemi. Io mi preoccupo di Piperno soltanto per ragioni pedagogiche. Prendete un o una giovane che è affascinata dalla letteratura, il o la quale cerca delle guide al di fuori della scuola e che si rivolge (come io mi rivolsi) a delle riviste letterarie o alle terze pagine dei quotidiani e trova questa roba: che effetto potrebbe avere su di lui (o lei)?Io mi ricordo perfettamente il meccanismo: leggevo un articolo e/o recensione per esempio di Pontiggia, di Fortini, di Ceronetti, di Meneghello, di Magris, di Segre, di Cases, di Mengaldo, di Sanguineti, di Luperini, di Martelli, di Eco, di Berardinelli, di Pampaloni, di Gramigna, di Fofi, di Raboni, eccetera (mi sono venuti in mente loro) e poi andavo o in libreria o in biblioteca e cercavo le indicazioni da costoro date.Non sto a sindacare sul fatto che la generazione di scrittori critici intellettuali precedente alla nostra fosse di miglior vaglia. E non ho nostalgia dei tempi andati. No, non è questo. Il punto è l'uso, meglio: l'abuso della parola "io". Una volta, fossero elzeviri, recensioni, o interventi estemporanei, gli autori che solevano scrivere nelle pagine culturali avevano meno ansia di mettere in mostra quella piccola parte ignobile di sé, e dire in continuazione: «Anche a me capita, il mio piacere, mi incoraggia, sarei più selettivo, mi atterrei, io faccio, io dico, io scrivo, io vado a fare in culo».Prammatica vorrebbe che quando si ha l'onore e l'onere di scrivere articoli culturali, l'uso della parola io fosse occasionale e limitato e non inflazionato come succede, a giusto titolo, nei racconti, nei romanzi, nei blog. Per carità, poi ognuno fa come vuole e, se ci si pensa bene, la colpa non è neanche di Piperno e di altri autori che solgono far così, bensì dei caporedattori che dovrebbero moderare e - al limite - censurare tale abuso. Su La Lettura di ieri, poi, tra A. Piperno, A. Pascale ed E. Camurri* c'è stata un tale orgia di io, come se volessero impollinare il panorama culturale italiano col loro ego smisurato.Antonio Pascale a rompere le palle che non gli piacciono le recite di fine anno scolastico perché fanno balbettare la su' figliola.Il Camurri stiamo zitti che mi vergogno persino a sintetizzare cosa ha detto, maremma impestata.
Bello affondare, vero Italia? Schettino ministro della cultura subito.
*Gli articoli di questi due ultimi non sono ancora reperibili in rete
COMMENTI (1)
Inviato il 26 giugno a 12:52
mi scusi, lei si rende conto che contesta la prima persona e usa, per portare avanti la contestazione, proprio la prima persona? l'io che l'avvilisce è lo stesso che lei usa per criticare l'io altrui. Lei ha un blog, quindi scrive di se. Perché io che sono uno scrittore non potrei usarlo? Lei si rendo poi conto che il mio io è strumentale, mica voglio raccontare i fatti miei, cerco un modo per ragionare su alcune questioni che interessano noi: noi, cioè, una somma di io. L'io, in narrativa, funziona se parla di noi, se mette in comunicazione soggetti diversi e crea un senso di empatia. Il personaggio dovrebbe svolgere al meglio questa funzione, ma i tempi sono cambiati, l'io è dappertutto, ci sono i social network, anche il più cretino tra gli umani può fare un video e postarlo e avere milioni di visite, e, infine, come le facevo notare, lei ha un blog, cioè può espandere giornalmente il suo io, pure dire quello che le pare. Gli scrittori spesso occupano il proprio io, vero, con una differenza: cercano di ragionare su piccole questione cercando di trasformarle in questioni generali, usando un escamotage narrativo. A volte riescono a volte no. Come le critiche, la sua non è riuscita per contiguità stilistica con il problema (troppo io) che si sforza di sottolineare. O no?