EGO E POLITICA #democrazia #culto #personalità

Creato il 07 marzo 2014 da Albertomax @albertomassazza

Strettamente connesso con i binomi (tendenti alla dicotomia) partitica-politica e rappresentazione-rappresentanza, di cui ho già scritto in questo blog, è il complicato rapporto tra ego e politica, anch’esso, ed in modo ben più insanabile, sempre in bilico sul baratro della dicotomia più conflittuale. Ego e polis sono costituzionalmente antinomici: da una parte, l’ambizione e l’interesse personale; dall’altra, l’amministrazione del bene comune. Ma non ci può essere polis senza ego; l’amministrazione del bene comune non può che essere delegata agli individui, scelti con criteri più o meno razionali, ma pur sempre portatori di ego. La qualità imprescindibile del buon politico dovrebbe essere, dunque, la capacità di distacco dal proprio ego. O meglio: il distacco nel momento della rappresentanza politica. Nella rappresentazione della politica, invece, il protagonismo dell’ego non solo è accettabile, ma, almeno in forme non strabordanti, è richiesto come indispensabile per attrarre il consenso.

A parte il culto della personalità tipico dei regimi autoritari – Mussolini, Hitler, Stalin, Mao ecc., tanto per rimanere all’ultimo secolo -, l’ego può generare una forte personalizzazione della politica anche in democrazia. In Italia, negli ultimi decenni, abbiamo avuto gli esempi lampanti di Craxi e Berlusconi. Una personalizzazione che non riguarda solo i leader, ma viene replicata, spesso con involontaria comicità, anche dagli esponenti locali e che comunque risponde a un’inconscia domanda dell’elettorato, specie in una democrazia che mostra la propria immaturità come quella italiana, condizionata dal bisogno di individuare l’uomo della provvidenza a cui affidare la risoluzione di tutti i problemi. Tutto ciò in un contesto contemporaneo dominato dalla spettacolarizzazione di ogni aspetto della vita quotidiana che porta gli individui, a loro volta, ad un culto della personalità individuale che si manifesta nella pedissequa rappresentazione di sé, ma anche nel sentirsi aprioristicamente portatori di verità che finiscono per mortificare il caposaldo della democrazia: il principio di maggioranza.



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