Non sono pochi i brillanti conversatori, ma quanti sanno veramente ascoltare? L’ego ipertrofico impedisce a molti di udire nelle parole altrui, se non un’eco delle proprie. Osserviamo costoro: il loro sguardo non si posa sull’interlocutore. Sono distratti, assorti a seguire il filo dei loro discorsi, insofferenti. Si annoiano, se gli interventi altrui superano una certa lunghezza.
Per quanto mi consta, nessun regista ha mai avuto l’idea di rinunciare in modo sistematico al campo e controcampo, l’inquadratura alternata degli attori-personaggi che dialogano, per adottare una tecnica uguale e contraria, indugiando con la macchina da presa non su chi parla, ma su chi ascolta o dovrebbe ascoltare.
Dagli occhi del destinatario, dalla mimica, dal modo di ammiccare, si comprenderebbe se davvero egli presta attenzione, quanto si immedesima nel locutore, se è empatico o noncurante o persino ostile, nonostante le sue parole di disponibilità, dietro il velo della cortesia. Particolari inquadrature e tagli permetterebbero di scrutare l’anima del personaggio.
La finzione cinematografica ci aiuterebbe ad estrarre una scheggia di vita.
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