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Eisenstein in Messico

Creato il 03 giugno 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
  • Anno: 2014
  • Durata: 105'
  • Distribuzione: Teodora Film
  • Genere: Biografico
  • Nazionalita: Messico, Finlandia, Belgio, Francia, Paesi Bassi
  • Regia: Peter Greenaway
  • Data di uscita: 04-June-2015

Arriva nelle sale italiane l’ultimo capolavoro di Peter Greenaway, Eisenstein in Messico.

Sinossi: Nel 1931, al vertice della sua carriera, il regista sovietico Sergei Eisenstein è in Messico per girare un film. Incalzato dal regime stalinista, che vorrebbe richiamarlo in patria quanto prima, Eisenstein passa gli ultimi dieci giorni del suo viaggio nella cittadina di Guanajuato. Sarà qui, con la complicità della sua guida Palomino Cañedo, che scoprirà molte cose sul Messico ma anche sulla propria sessualità e identità di artista.

Recensione: Una festa senza fine per lo sguardo è l’ultimo film di Peter Greenaway, un corpo a corpo con il dispositivo cinematografico, trafitto, sviscerato, smembrato e ricomposto, un’operazione estetica che non cessa di deformare l’immagine, di farla collassare continuamente senza mai lasciarla sedimentare, senza permettere che si coaguli in rappresentazione, in un processo di continuo sabotaggio e ricostruzione dell’ordine simbolico. Greenaway si cimenta con Eisenstein, con il Cinema, quello non asservito alla logica del testo, realizzato da compositori e non da direttori d’orchestra, un cinema che si lascia alle spalle Marx, che lo riduce a spettro, spettro che comunque, come giustamente faceva notare Jacques Derrida, non smette di ritornare. Il resoconto del viaggio in Messico del regista russo si libera del fardello della fedele ricostruzione storica di tipo documentaristico, perché Greenaway ha ben compreso che la realtà, e quindi la verità, si dà, innanzitutto e per lo più, sotto forma di finzione, laddove non c’è nulla dietro al fenomeno che dev’essere portato per furore esegetico davanti alla macchina da presa, non c’è alcunché che, comunque, non necessiti di un intervento manipolatore, e tanto vale la pena, quindi, di ricreare, anche e soprattutto sul piano dell’immaginazione, un fatto storico.

E allora non resta che tentare di cartografare la mappa emotiva di un’esperienza che lasciò un segno indelebile nella vita di Eseinstein, tanto da provocare un cambiamento sensibile sulla sua sessualità e identità d’artista. L’attrazione e  gli amplessi consumati con la sua guida Palomino Cañedo, insegnante di religioni comparate, lasciano presagire la svolta interiore che avrà conseguenze anche sulla dimensione squisitamente cinematografica. Eisenstein è arrivato in Messico il 21 Ottobre del 1931, il 25 cade l’anniversario della Rivoluzione Russa e il 31, quando il regista lascia la città, si celebra il giorno dei Morti. Tale arco di tempo in cui si svolge la sua storia d’amore spinge Eisenstein a dire: “Questi sono i dieci giorni che sconvolsero Eseinstein. Sono dovuto venire in Messico per andare in paradiso”.

Greenaway, facendo sua la lezione del maestro, rivendica con forza la specifica capacità evocativa del cinema, schierandosi contro quelle fazioni che hanno sempre sostenuto la sua sudditanza rispetto alle fonti letterarie, riducendo la settima arte ad un’esperienza calligrafica. “La maggior parte del cinema esprime delle ambizioni basse, ha paura di macchiarsi di lesa maestà, di essere derivo per avere degli obbiettivi alti, ha paura persino di considerarsi arte e competere ad armi pari con gli esiti più compiuti della pittura, della musica, della letteratura, del teatro. [….] Il cinema è un mezzo d’espressione troppo ricco per essere lasciato in mano agli scrittori”.

Fa molto effetto dover ancora fare i conti con una tendenza così provinciale che riduce la portata immaginifica del cinema, che ne depaupera le potenzialità visionarie, che lo relega ad appendice delle altri arti. Ci vogliono grandi artisti per rompere questa litania, per infrangere gli schemi, per inondare l’occhio di una nuova sorprendente luce. Ci vogliono i Peter Greenaway.

Luca Biscontini



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