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El Chapo, il boss scovato dopo una sua telefonata a un produttore cinematografico: “Voglio un film su di me”

Creato il 11 gennaio 2016 da Retrò Online Magazine @retr_online

El Chapo, il boss del cartello messicano, voleva un film su di lui ed è scappato dal carcere grazie ad una moto modificata e capace di andare sulle rotaie

Noto con il nome di El Chapo, Joaquìn Guzmàn, è il capo di uno dei cartelli che si trovano in Messico. Il suo, prende il nome di Sinaloa, proprio come il territorio messicano che fa da base all’organizzazione di commercio internazionale di droga in questione.

El Chapo è stato catturato in un hotel di Los Mochis, nello stato di Sinaloa, alle prime luci dell’alba in un bliz “cinematografico”, con sparatorie tra l’esercito messicano e gli oppositori del cartello. 

In seguito alla cattura il boss è stato portato a Città del Messico e messo al centro dell’attenzione mediatica internazionale. Subito dopo è stato caricato su un elicottero in direzione Carcere di massima sicurezza di Altiplano (lo stesso da cui è evaso soltanto l’11 luglio dell’anno scorso).

El Chapo, poco prima di essere trasportato nel carcere di massima sicurezza messicano  Photo credit: abodftyh via Foter.com / CC BY-SA

El Chapo, poco prima di essere trasportato nel carcere di massima sicurezza messicano
Photo credit: abodftyh via Foter.com / CC BY-SA

Uno degli elementi che hanno portato all’arresto de El Chapo sono stati i diversi contatti con attori e produttori cinematografici, con lo scopo di convincerli a girare un film biografico sulla sua vita. A dichiararlo è Arely Gòmez Gonzàlez, procuratrice generale messicana.

Non è la pima volta che El Chapo riesce ad evadere da un carcere di massima sicurezza. E’ la seconda in soli 15 anni per il boss messicano che non teme le conseguenze sulla sua pena e che probabilmente continuerà a cercare di evadere, mettendo nuovamente in imbarazzo i governi messicani; come è accaduto con quello di Enrique Peña Nieto. L’11 luglio 2015, El Chapo, è riuscito a scappare scavando un buco nel pavimento della doccia nella sua cella e uscendo attraverso un tunnel sotterraneo, quasi indisturbato. Nel tunnel, c’era ad aspettarlo una motocicletta adattata a muoversi sulle rotaie che è servita al boss per l’evasione, avendo forse anche un ruolo fondamentale nell’intero piano.

Non è un caso, infatti, che molti funzionari del carcere siano stati accusati di essere complici dell’evasione e siano stati arrestati.

Le mosse del governo messicano sono multiple, tra le altre, anche una ricompensa per chi riuscisse a catturarlo; 60 milioni di pesos, circa 3 milioni e mezzo di euro.

Oggi, in seguito alla cattura, gli Stati Uniti chiedono l’estradizione del boss El Chapo, ma gli enti messicani tentennano ancora oggi, non riuscendo a dare risposte che risultino ufficiali.

L’estradizione è un tasto dolente quando si parla di narcotrafficanti. Basti ricordare le battaglie “politiche” di Pablo Escobar per ottenere il diritto di scontare la sua pena in Colombia, in un carcere colombiano, ed evitare così di andare negli Stati Uniti, patendo quello che ogni narcotrafficante internazionale patisce in un carcere americano di massima sicurezza: l’isolamento, le umiliazioni e l’uguaglianza con tutti gli altri detenuti.

S.C. 

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