Quattordici.
Ne ho contati 14 di questuanti ieri, nel solito tragitto stazione-piazza Maggiore che compio ogni giorno. Un chilometro scarso in cui sono tante le silenziose presenze appartate all’angolo della strada e che implorano una monetina.
La questua è proibita, specie se fatta con animali e bambini, rischio una multa io se dò una monetina.
Quando guadagnavo tanto non davo mai niente: pagavo talmente tante tasse che il mio contributo al welfare lo ritenevo più che sufficiente.
Poi però arrivò una ondata di extracomunitari che, in quanto clandestini, ai servizi dei welfare che pagavo profumatamente non avevano accesso. E quindi, quando vedevo qualcuno che sembrava straniero, se chiedeva una moneta gliela davo volentieri.
Poi la crisi economica, ridimensionamento di tante cose.
Smetto di dare monetine perchè serve a me ogni monetina.
(A me, per la cronaca, lo Stato non ha mai dato una monetina, ma vabbè…)
Ora va meglio ed ecco che quando cammino per strada ritorno a pensare quello che pensavo prima “le tasse che pago,il welfare…”.
Sono ferma nelle mie posizioni. La monetina non la dò.
Sorpasso indifferente giovani, anziani, uomini, donne, malati, storpi.
Con cane, senza cane.
Con cartello senza cartello.
Con la ciotola o col bicchiere.
Col santino o senza santino.
Muti o richiedenti.
Tredici volte, per 13 volte indifferente.
Alla quattordicesima cedo. Inevitabilmente, cedo.
Non resisto alla commozione di vedere giovani ragazzi devastati dalla droga con il lor cane appresso.
“Il welfare, si possono pure trovare lavoro, è reato, ma vai a lavorare, ma…”, niente, non ce la faccio.
Perchè so che quei ragazzi sono al capolinea.
E li aiuto, per quel che posso, perchè li ammiro.
Perchè pure nella disperazione in cui ti porta quella merda che è la droga, riescono a dare amore.
A dare amore al loro cane.
E all’amore non resisto.
Così entro in un negozio e compro del cibo. Lascio loro del cibo.
Segnalo un articolo scritto da un bravo collega, Alessandro Cori, che ha provato sulla sua pelle cosa vuol dire fare la questua