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Elena

Creato il 20 gennaio 2013 da Eraserhead
ElenaAndrei Zvyagintsev, Leone d’Oro nel 2003 per Il ritorno, continua il suo percorso cinematografico all’insegna della continuità; radicata nella tradizione russa, la sua arte si intaglia nella dialettica delle immagini, in una struttura che, in frangenti più o meno estesi, può far a meno delle parole per la sua sussistenza. Ne consegue che il cinema di Zvyagintsev lascia molto all’intuizione di chi ne fruisce poiché ama indagare l’intangibile piuttosto che esporre scolasticamente le proprie ragioni. Questo accadeva in The Banishment (2007), opera esteticamente ragguardevole, e questo accade suppergiù anche in Elena (2011) con in aggiunta degli accorgimenti: sebbene la sottigliezza del copione sia inalterata, quella forte indeterminatezza che segnava la pellicola precedente viene ridotta, e non poco, nonostante comunque persistano zone d’ombra che non si mancherà di evidenziare.
Dopo due film ambientati nella Russia più inospitale, e di conseguenza più affascinante, recintare la vicenda in un’area che non si può nemmeno definire urbana, bensì casalinga, perde una cifra di magnetismo non indifferente: se all’ambiente di cielo azzurro e prati smeraldo si sostituiscono cucine e letti matrimoniali, il laccio presta il fianco a qualche cedimento data l’ordinarietà della visione. Non è questo il punto, però; non lo è perché Zvyagintsev fa il suo lavoro senza sbavature e gira con mano ferma sequenze inattaccabili. Emerge di contro un vizio che il russo non sembra essersi ancora scrollato di dosso, un vuoto che una volta scrostata la patina formale si dimostra difficilmente colmabile. A causa di una sceneggiatura messa a dieta ferrea, le situazioni elementari che vengono proposte (Elena che ama incondizionatamente il figlio; il marito che non ne sente la paternità) non hanno abbastanza forza per trattenere l’attenzione e per un’ora e qualche spicciolo il film scorre, va, ma non diventa l’apripista che vorrebbe essere per giungere al suo nucleo.
Il gesto della protagonista, veramente repentino, e, a causa della sonnolenza descrittiva sopraccitata, a tre o quattro passi dalla non-motivazione, agita le acque della storia e apre scenari non disprezzabili. Come per Izgnanie il fulcro degli ingranaggi è rappresentato da una donna, una donna in balia dei suoi sentimenti che si rapporta con un mondo maschile piuttosto duro (sia qui che là: l’uomo, il marito, non accetta e non perdona), tuttavia la differenzia sostanziale è che la nostra Elena non solo reagisce alla situazione negativa, ma lo fa con un cinismo che sembra aver succhiato via dal suo partner, un atto d’amore solo in superficie perché nelle profondità mantiene un carattere di assoluta noncuranza, freddezza e mancanza di riconoscenza verso chi, molto probabilmente, l’aveva tirata fuori dalle canne.
Il frutto del film è perciò abbastanza succoso, e non va scordato il rimando sociale che offre due facce della moneta-Russia e la sua dipendenza vitale verso il denaro, resta il fatto che, e vale la pena ripeterlo, germoglia da un seme incapace di attecchire nel terreno, che non crea le premesse adeguate per il suo completamento, e ne è d’esempio la frase pronunciata da Elena: “io amo Vladimir”, una menzogna che però non è capace di inverare la terribile azione compiuta. Zvyagintsev prosegue il suo percorso cinematografico ed è sicuramente vero, i due film successivi al bell’esordio non hanno ancora portato in dote la conferma, più che aspettare fiduciosamente il prossimo lavoro non si può.

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