La più originale opera di Sofocle, per alcuni motivi che spiegherò, ha una data di rappresentazione incerta forse il 409, negli stessi anni del Filottete di Sofocle e dell’omonima tragedia di Euripide.
Siamo quindi nel periodo critico della seconda democrazia di Atene (Pericle infatti è morto nel 431 a. C). Che siamo in aperta crisi si palesa evidentemente nella tragedia di Euripide, un po’ meno in quella di Sofocle, che pur rivede il mito in termini rivoluzionari.
Andiamo all’antefatto: Elettra e Oreste sono i figli di Agamennone e Clitennestra e fanno parte della nota maledetta famiglia degli Atridi. Come tutti sanno, al momento di salpare alla volta di Troia, la flotta greca veniva respinta nel porto da venti contrari. La consultazione dell’oracolo riportò il seguente verdetto: bisognava che Agamennone, figlio di Atreo, maledetto dagli dei, sacrificasse la figlia Ifigenia perché la flotta salpasse. Pur sofferente, l’Atride Agamennone porta a realizzazione la volontà degli dei.
La moglie Clitennestra però non lo perdona e, al suo ritorno vittorioso dalla spedizione di Troia, lo uccide a tradimento nella vasca da bagno con la complicità di Oreste, suo cugino ed amante. Ora è logica conseguenza che Oreste uccida la madre, perché non si interrompa la catena di sangue decretata dalla Necessità divina. Questi fatti sono narrati nella trilogia di Eschilo, Orestea.
La tragedia di Sofocle si apre con il ritorno a Micene di Oreste, in compagnia di Pilade e del Pedagogo. Egli, per ordine di Apollo , è lì per vendicare il padre, perché la linea patrilineare deve vincere su quella matrilineare (non è possibile che il padre resti invendicato) e perché ancora sangue deve essere versato all’interno di questa famiglia maledetta, per il concetto noto e altrove già spiegato della Nemesi storica.
Oreste, da bambino, correva anch’egli il rischio di essere ucciso da Clitennestra e Egisto, che avevano usurpato il trono, in quanto Oreste ne era l’erede; così fu salvato dalla sorella Elettra, che l’aveva affidato ad un uomo della Focide, perché stesse lontano dal palazzo. Elettra nel frattempo matura un odio radicale e profondissimo nei riguardi dei due assassini, specie verso la madre; l’odio era ampiamente ricambiato e la fanciulla viveva nella speranza che tornasse Oreste per vendicare la morte del padre.
Questo odio verso la madre e questa identificazione col padre ha dato nome in psicoanalisi, per merito di Jung, al cosidetto complesso di Elettra, che è il corrispondente femminile del complesso di Edipo, di freudiana memoria. Avviene infatti che da zero a sei anni i bambini possano contrarre un simile complesso che consiste nell’odio verso la madre che giace col padre, con cui ci si identifica, al punto di voler possedere il pene. L’odio verso la madre si amplifica con la constatazione che la madre questo pene non gliel’ha dato e se ne rivendica il possesso con pose ed atteggiamenti maschili, quali si riscontrano nell’Elettra sofoclea.
Torniamo alla trama: Oreste, tornato a Micene in incognita, organizza un tranello: diffonde la falsa notizia della sua morte, per la quale gioisce la madre (constatandone la malvagità) e si dispera Elettra, che come Antigone, dimostra affetto incondizionato verso il fratello, affetto forse spinto al punto da amarlo e comunque tale da sacrificare per esso la sua femminilità. Oreste, ottenuta la prova dell’amore della sorella si rivela a lei in una sticomitia (scambio di battute di un solo verso) di intensità patetica unica che vi invito a leggere. I due organizzano dunque il piano di vendetta: Oreste entra nel palazzo e uccide senza pietà la madre supplicante, poi trascina fuori dalla scena Egisto e lo finisce. Su questa immagine, senza commenti aggiuntivi, si chiude la tragedia.
Parlavo di tragedia rivoluzionaria: infatti questa è la tragedia dell’odio per antonomasia, nutriti di un solo sentimento fratello e sorella, non hanno conflitti interiori ma odium omnia vicit (l’odio vince ogni cosa). Diversamente in Eschilo, Coefore, Oreste si commuove ed è incerto nell’atto di trafiggere il grembo della madre, che gli ha dato la vita, ed Elettra appare debole, schiva e paurosa. Nell’Elettra di Euripide, invece, i due sono rosi dai sensi di colpa e critici nei riguardi degli dei che li costringono al matricidio, perché razionalmente per Euripide questo è inammissibile e la morte di Clitennestra è l’occasione per una lunga e sofferta riflessione del poeta sull’incertezza della vita su cui domina incontrastato il caos.
Quello di Sofocle è il dramma dell’odio, non c è spazio per sensi di colpa e pentimenti; la vera protagonista è Elettra: è lei che rimane nel palazzo e cova odio fin da bambina; lei è la mente dei delitti, Oreste ne è esecutore consenziente. L’eroina, con tutto il suo complesso d’odio, di Elettra appunto, domina la scena ed è assimilabile all’Antigone sofoclea, per virilità e determinazione, elementi che risaltano maggiormente, se confrontati con il pavore e la rassegnazione della sorella Crisotemi, simile ad Ismene sofoclea, sorella di Antigone.
Si può dire che questa tragedia è “un tragico senza tragico”, perché i personaggi non vivono conflitti, ma sono virili, spietati e forti; il conflitto si gioca altrove ed è tra la Legge di Stato, ormai invalsa ad Atene ( i tribunali hanno due secoli di vita) e la Legge della famiglia, che obbliga a vendicare il morto dentro le mura domestiche(usanza ormai caduta in disuso). Ecco perché Sofocle adduce tutte le giustificazioni possibili dell’odio verso la madre, amplificando la segregazione di cui Elettra era vittima e il giusto spirito di rivendicazione di libertà. È ovvio che l’Atene democratica della Dìke (giustizia) non poteva più approvare il matricidio, ritenuto sanguinoso e primitivo.
Written by Giovanna Albi