di Matteo Boldrini
Si è molto parlato in questi giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica, ma la discussione si è incentrata quasi totalmente sul merito della questione, sui nomi proposti, sulle figure più adatte a ricoprire tale carica, sulle strategie e sugli errori della classe politica e dei partiti. Quello che però mi viene da chiedermi adesso è se il metodo, le caratteristiche e le modalità di nomina della massima carica dello Stato siano adeguati alla fase politica che stiamo attraversando e al tipo di democrazia verso la quale stiamo andando.
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Carta costituzionale alla mano, il Presidente della Repubblica deve rappresentare l’unità nazionale, deve esercitare la funzione di “guardiano” della Costituzione e deve per questo essere eletto con un’ampia maggioranza al fine di garantire il consenso più ampio intorno alla sua figura. E per garantire che questo consenso provenga sia dalla maggioranza che dall’opposizione è stata prevista la maggioranza dei due terzi (e poi per evitare lo stallo, dalla terza votazione quella assoluta). Ma nel caso delle ultime elezioni da chi dovrebbe provenire questo ampio consenso? Con quale opposizione avrebbe dovuto dialogare la maggioranza di centrosinistra? La candidatura di Marini aveva il plauso dei partiti di centrodestra ma spaccava la coalizione di centrosinistra ed era fortemente invisa alla base del Partito Democratico e al Movimento Cinque Stelle. Mentre la candidatura di Rodotà avanzata dai grillini si basava, come già notato da alcuni commentatori, su circa 5000 preferenze raccolte durante le “quirinarie”, un numero estremamente ridotto per poter parlare di unità nazionale, sebbene l’insigne giurista avesse incontrato le simpatie anche di Sel e di parte dei Democratici. Un discorso simile si potrebbe pure fare per Romano Prodi. Certo è che questi candidati avrebbero avuto un peso assolutamente diverso di quello che hanno poi avuto se pesati direttamente sull’elettorato. E poi la figura del Presidente della Repubblica così per come sta funzionando al giorno d’oggi, si coniuga davvero bene con un’elezione indiretta?
Il Quirinale si è preso spesso la libertà di dare numerosi indirizzi politici, sfruttando certamente tutte le facoltà che gli vengono attribuite, ma esercitando un potere che, in teoria, si dovrebbe fondare sulla volontà popolare.
Che sia forse venuto il momento di discutere anche di una possibile elezione diretta del Capo dello Stato? La nostra Costituzione è senza dubbio una delle più moderne ed attuali mai scritte e non si dovrebbe mai smettere di tesserne le lodi, tuttavia dobbiamo essere realisti, in molte sue parti si rivela inefficiente ed anacronistica. I nostri Padri Costituenti l’hanno pensata in un momento molto particolare della nostra storia, era appena finita la guerra, vi era stata l’esperienza della dittatura che metteva in guardia contro forti esecutivi, vi era una forte contrapposizione sociale e politica frutto della Guerra Fredda e ad ogni elezione, vi era l’impressione che in ballo non ci fosse solo il sistema, ma l’intero sistema politico. Il nostro quadro politico ed internazionale è ovviamente cambiato e non vedo perché non si debba procedere anche agli aggiornamenti istituzionali necessari ad evitare inefficienze o, nel caso peggiore, il blocco del sistema. Di questo aggiornamento potrebbe benissimo esserne colpito anche il Presidente della Repubblica, una figura che volenti o nolenti sta acquisendo sempre maggior potere. Un’elezione diretta del Capo dello Stato si porterebbe dietro il rischio di un maggior leaderismo e di un accentramento eccessivo dei poteri, ma creerebbe una figura legittimata ad intervenire in caso di blocco del sistema parlamentare, perché indipendentemente dai poteri del Presidente del Consiglio, questi dipende sempre dalla maggioranza parlamentare (di non una ma ben due Camere! Ma questo è un altro discorso) la quale dipende dalla strutturazione del sistema partitico. Un sistema ben strutturato garantisce una maggiore stabilità della maggioranza e quindi del governo, viceversa se il sistema è instabile, fluido, soggetto a frammentazioni, le maggioranze saranno più deboli e quindi è più probabile una crisi ed un blocco del sistema.
Nelle esperienze europee a noi vicine possiamo trovare dei casi estremamente interessanti. Su quindici paesi Ue, prendendo in considerazione solo i più grandi o quelli storicamente più importanti, se escludiamo le Monarchie (Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Danimarca, Regno Unito, Spagna, Svezia) che ovviamente non eleggono il Capo dello Stato, sono soltanto tre i Paesi che possiedono un regime parlamentare puro in cui il Presidente della Repubblica è eletto indirettamente dal Parlamento (Germania, Grecia ed Italia) mentre di gran lunga superiore è l’elezione diretta (Francia, Irlanda, Portogallo, Austria, Finlandia) dove si presenta con modalità ed effetti estremamente differenziati. Non mi voglio soffermare ora sulle differenze tra i Paesi con forma di governo semipresidenziale ma concentrarmi su due casi.
I casi per noi più significativi sono la Germania e la Francia. La Germania presenta un sistema parlamentare in cui il Capo di Stato viene eletto in maniera indiretta e possiede relativamente poco potere, specie se paragonato al nostro Presidente della Repubblica. In Germania i casi di stallo ci sono stati, anche se pochi, e sono stati brillantemente risolti con due governi di larghe intese. Ma ciò che garantisce forza e stabilità al sistema tedesco è soprattutto la presenza degli istituti di razionalizzazione (come la sfiducia costruttiva, che impedisce crisi “al buio”) e la forte strutturazione dei due principali partiti che, nonostante la formazione di soggetti diversi alla destra e alla sinistra, mantengono una grande stabilità e solitamente riescono ad esprimere il Presidente del Consiglio che è anche il segretario del partito, possedendone così il controllo. Viceversa la Quinta Repubblica francese è nata dalla crisi del sistema parlamentare precedente, un sistema molto simile al nostro, soggetto a frequenti blocchi ed inefficienze, e ne ha risolto brillantemente i problemi. La presenza di una figura dotata di rilevante potere di intervento e legittimazione popolare è in grado di fornire la spinta in più per superare lo stallo di un parlamento bloccato o dell’assenza di una maggioranza parlamentare, anche in presenza di partiti più deboli e volatili come sono appunto in Francia.
Ora il sistema semipresidenziale è estremamente complesso e sono numerose le sue possibili interpretazioni, e non è possibile elencarne completamente tutti i pregi e tutti i difetti, ma credo che sia necessario, anche alla luce di quanto non succede negli altri Paesi europei a noi vicini, riaprire il dibattito anche su questa opzione, un’opzione che da quando è stata fatta propria da Silvio Berlusconi non viene mai presa seriamente in considerazione.
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