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Elezioni afghane: Le urne di Kabul alla sfida della governabilità

Creato il 02 aprile 2014 da Asa

articolo pubblicato su "IAI - Affari Internazionali"
di Claudio Bertolotti
L’Afghanistan è ufficialmente pronto per le presidenziali del 5 aprile: 6.431 i seggi elettorali dichiarati “sicuri” sul totale di 6.845. La realtà è però lontana dall’immagine che si vorrebbe trasmettere: la sicurezza delle aree periferiche non è garantita, l’organizzazione elettorale procede a rilento, il numero di cittadini iscritti al voto è ridotto e ancora più limitata sembra essere la partecipazione femminile.
Tutte premesse a una situazione instabile a cui si accompagnano gli infruttuosi “dialoghi politici” con i gruppi di opposizione armata e i tentativi di revisione (e riduzione) dei diritti costituzionali - in particolare quelli delle donne chiesta dalla Comunità internazionale per convincere i gruppi insurrezionali ad accettare una soluzione negoziale (argomento a cui i media daranno scarso risalto, ma che la stessa Comunità internazionale ha messo in conto).
 
Karzai a colloquio con i taliban
Stati Uniti e attori regionali guardano con favore a un “balance of power” tra i gruppi etno-religiosi afghani: un bilanciamento “adeguato” tra gruppi di potere pashtun e le altre minoranze.
Hamid Karzai, sospeso il dialogo formale con Washington, ha avviato un intenso colloquio con i taliban. Non è esclusa un’intesa volta a preservare gli equilibri di potere nell’area di Kandahar, dove i Karzai mantengono interessi politici ed economici.
Sul fronte opposto, i taliban contrasteranno con la forza le elezioni in quanto “illegittime” e “anti-islamiche”: una minaccia che, guardando al recente passato, contribuisce ad aumentare il livello di preoccupazione.

Pashtun e tagichi
I pashtun, gruppo predominante al sud e all’est, storicamente al potere in Afghanistan e sostenuti dall’esterno dal Pakistan, si muovono attraverso linee di demarcazione etno-culturale. In particolare, il gruppo dei “Durrani” di Kandahar (del quale fa parte la stessa famiglia Karzai) ha avviato una “collaborazione inter-etnica” per ridurre la dispersione di voti e aumentare la possibilità di accesso di un proprio candidato alla presidenza. Tra Qayum Karzai (fratello dell’attuale presidente), Gul Agha Sherzai, Muhammad Nader Na’im e Zalmai Rassul, la scelta è ricaduta su quest’ultimo, nonostante un primo orientamento su Qayum Karzai (ritiratosi dalla competizione in favore di Rassul: difficile non immaginare un ruolo attivo di Hamid Karzai in tale scelta razionale).
Tra i tagichi, l’importante gruppo etnico e di potere antagonista ai pashtun, presente prevalentemente a nord e a ovest del paese e sostenuto da alcuni attori regionali (tra i quali Iran, Russia e Tajikistan), gli equilibri sono recentemente mutati con la scomparsa di Muhammad Qasim Fahim, l’influente signore della guerra anti-taliban, nonché vice-presidente dell’Afghanistan e garante del sostegno a Karzai da parte delle comunità del nord. Fahim era destinato a giocare un ruolo importante nell’Afghanistan post-elettorale; una scomparsa che lascia spazio di manovra a un altro influente tagico: Ismail Khan, anche lui potente signore della guerra, già governatore di Herat e candidato vice-presidente nella lista di Sayyaf, uomo capace di accendere gli animi inquieti di quella componente tagika indisposta al “dialogo” con i taliban.

Abdullah e Ghani favoriti
Nel complesso, oltre la metà degli elettori è disposto a sostenere un candidato disponibile al dialogo con i gruppi insurrezionali ed auspica la vittoria di un soggetto propenso alle buone relazioni con il Pakistan; 60%  guarda con favore a relazioni durature con gli Stati Uniti. A pochi giorni dall’appuntamento elettorale, l’interesse dell’opinione pubblica è aumentato, sebbene vi sia almeno un terzo di elettori indecisi o potenziali non votanti.
 
Dunque, quale il futuro politico dell’Afghanistan?
È probabile che nessuno dei candidati otterrà più del 50% cento dei voti; ciò imporrà accordi negoziali tra le parti e con quelli che potrebbero essere gli esclusi dalla seconda tornata elettorale.
Abdullah Abdullah, l’ex ministro degli Esteri, metà tagico e metà pashtun, e Ashraf Ghani Ahmadzai, ex ministro delle Finanze di etnia pashtun, sono dati per favoriti: il primo in grado di raccogliere il consenso dell’elettorato tagico e di quello, seppur limitato, femminile, il secondo più convincente per quello di estrazione urbana.
E Zalmai Rassoul, ministro degli Esteri uscente, pashtun apprezzato anche dai tagichi, rappresenta la terza potenziale incognita, anche grazie al sostegno di Qayum Karzai.
Poche speranze rimangono per gli altri concorrenti, il cui ruolo potrebbe riservare qualche sorpresa in occasione del secondo turno elettorale: Abdul Rab Rassul Sayyaf e Gul Agha Sherzai.
Nel complesso, date le premesse, è facile prevedere un’inquieta fase post-elettorale a causa delle irregolarità e dei brogli che verranno denunciati. Dato per scontato che un’unica coalizione politica non riuscirà a prevalere, lo stato di incertezza sarà amplificato dalle dinamiche multilivello che spingeranno ad accordi in vista del secondo turno elettorale dove il candidato più accreditato, Abdullah Abdullah, potrebbe vedersi contrapposto a un’unica grande coalizione pashtun.
Molto dipenderà da come gli stessi pashtun nel sud del paese voteranno – e quanti voteranno –, anche in relazione alla forte influenza dei taliban in quella parte dell’Afghanistan.

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