Elezioni europee: il caso italiano
Negli articoli precedenti si è provveduto ad un'analisi elettorale e ad una politica delle elezioni europee dello scorso 25 maggio.
Questa volta tenteremo di portare avanti la complessa analisi del voto europeo in Italia.
Anzitutto bisogna considerare che rispetto alle politiche del 2013 si sono recati alle urne molti meno italiani: circa 27 milioni, mentre erano 46 milioni l'anno scorso. Questo dato può avere senz'altro provocato un calo di voti "fisiologico" in numerose coalizioni (teoricamente in tutte).
Per quanto riguarda l'analisi politica, è doveroso fare una premessa. L'Italia è, nel contesto dei paesi europei a ridosso del voto, un caso eccezionale. Rifiutando di tornare al voto dopo il risultato elettorale eccezionalmente incerto del 2013, il parlamento italiano ha espresso due governi di compromesso secondo il sistema delle larghe intese, e ha riconfermato la propria fiducia ad un presidente della repubblica già incarica per la prima volta nella storia d'Italia, nonostante molte voci spingessero verso un rinnovamento delle istituzioni a partire dai politici.
Eppure, nonostante queste premesse non certo rosee, il governo italiano è uscito rafforzato da questo confronto elettorale. In particolare, com'è ormai ben noto, il principale partito di governo, il Partito Democratico, ha ottenuto undici milioni e duecentomila voti, superando la soglia del 40% a livello nazionale per la prima volta nella sua storia.
Sicuramente il primo beneficiario di questo ottimo risultato è Matteo Renzi, premier, segretario di partito e in generale leader indiscusso del PD, soprattutto dopo le dimissioni di Gianni Cuperlo, avvenute il 21 gennaio 2014 per ragioni di incompatibilità con il segretario sulla legge elettorale elaborata nei primi giorni del governo, il cosiddetto Italicum.
Terzo premier di seguito a non essersi candidato ad alcuna elezione (dopo Mario Monti e Gianni Letta), Renzi ha subito annunciato che con questi risultati si può governare fino al 2018. Il come non è chiaro, visto che il parlamento è il medesimo e almeno superficialmente le difficoltà di tenere insieme una coalizione che spazia da Civati ad Alfano potrebbero rimanere le stesse.
Ma il voto del 25 maggio ha dimostrato senza possibilità di smentita che se si tornasse al voto in tempi brevi e con la legge proposta dalla corte costituzionale ( il semi-proporzionale noto come Mattarellum) numerosi partiti entrerebbero in parlamento con numeri risicati o non vi entrerebbero affatto.
In particolare questo discorso vale per Scelta Civica, che pur essendo alleata con Fermare il Declino e Centro Democratico è crollata allo 0,7% venendo sorpassata anche dai Verdi (al punto che Monti per limitare i danni ha dovuto affermare di essere contento che i propri voti siano andati a Renzi perché ne approva l'operato).
Un'interessante analisi dei flussi elettorali effettuata dall'istituto IPR mostra come quasi il 70% degli elettori di Scelta Civica del 2013 ad un anno di distanza abbia preferito votare il PD.
Sicuramente la vittoria del PD è stata ottenuto grazie al sostegno della gran parte dei giornali e dei telegiornali (e non solo) nei confronti di Matteo Renzi. Renzi, non il PD è dunque il primo vincitore di questa tornata elettorale. E il fatto di aver trasformato queste elezioni europee in uno scontro Renzi-Grillo (Berlusconi stesso ha avuto un ruolo marginale) non può che aver giocato a favore del primo. Molti elettori, sia da destra sia da sinistra hanno infatti dato fiducia al PD prevalentemente in chiave anti-Grillo.
Ma anche Alfano, numericamente molto consistente in parlamento, giudica l'idea di un possibile voto anticipato come disastrosa. Probabilmente la strategia di prendere tempo in attesa del collasso di Forza Italia può essere molto più proficua per l'ex delfino di Berlusconi. In caso contrario, dovrebbe accontentarsi del 4%.
Proprio Forza Italia è il partito forse maggiormente in crisi dopo questa tornata elettorale, crisi accentuata dal poco interesse riservato dai media alla sua vicenda.
Rispetto alle elezioni politiche dell'anno scorso, per Berlusconi il risultato è sconfortante. Messi insieme, i voti di Forza Italia e Nuovo Centrodestra vengono dimezzati rispetto alle politiche di un anno fa. Naturalmente ha influito una più bassa affluenza alle urne, ma il dato rimane comunque allarmante.
Forza Italia ha reagito male allo smacco. Le dichiarazioni sono andate dal "poteva andare peggio" al "Renzi ci ha oscurato". Manca però, almeno per ora, un'autocritica valida, unica strada percorribile per cercare di limitare i danni almeno in futuro.
È probabile che il partito di Berlusconi non si riprenderà in fretta da questo crollo. Tanto più che, in seguito all'affidamento ai servizi sociali, il leader di Forza Italia non può avere la presenza mediatica ottenuta in passato. Per un partito fondato essenzialmente sui media televisivi, questo fattore può rivelarsi devastante. Ma non bisogna sottovalutare il potenziale espresso da Berlusconi anche in momenti critici.
Quanto al partito di Alfano, comunque coalizzato con l'UDC, esso si conferma come una coalizione sostanzialmente regionale, abbastanza forte in Sud Italia ma molto meno al centro-nord. Il risultato del Nuovo Centrodestra è modesto ma sostanzialmente in linea con le aspettative (alcuni come Cicchitto ipotizzavano un 5%).
Naturalmente queste elezioni si sono rivelate una delusione anche per il Movimento Cinque Stelle guidato da Beppe Grillo. Il Movimento che era riuscito a diventare primo partito alla Camera dei Deputati (sebbene per poche migliaia di preferenze) perde tre milioni di voti, retrocedendo anche in punti percentuali poco sopra il 21% (contro il 25% del 2013). Inoltre, secondo la già citata analisi dei flussi elettorali, solo uno zoccolo duro del 68% di coloro che avevano votato il Movimento nel 2013 hanno confermato la propria scelta.
Tutto ciò nonostante l'enorme visibilità concessa al Movimento da parte dei mezzi di comunicazione (che hanno sostanzialmente ignorato la par condicio), e nonostante Grillo abbia accettato l'invito ad uno dei salotti più ambiti per la conquista di una certa parte dell'elettorato (quella anagraficamente più anziana): Porta a Porta.
Anche il fatto di essere universalmente considerato lo sfidante principale di Renzi non ha giovato all'immagine del comico, né di conseguenza alla sua popolarità nell'elettorato.
Quel che è più grave, è che la sconfitta ha almeno apparentemente mandato in corto circuito il movimento. L'analisi del voto è stata molto discordante; i capigruppo alla Camera e al Senato che hanno addebitato la causa prima del fallimento all'uso che il Movimento ha fatto dei mezzi di comunicazione; questo tentativo di autocritica costruttiva, che bocciava seccamente alcune scelte come lo slogan #vinciamonoi e il rifiuto quasi totale di presentarsi ai dibattiti televisivi (rilasciando solo poche interviste), è stato subito fermato da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio. A una settimana dal voto Grillo ha anzi parlato di brogli elettorali (già ventilati da Di Maio a ridosso delle elezioni).
Alcune delle divergenze interne al Movimento vengono alla luce per la prima volta in tutta la loro drammaticità. Queste spaccature, come la sconfitta subita, verranno metabolizzate solo con il trascorrere delle settimane e solo a determinate condizioni; l'autocritica è la prima tra queste.
L'ultimo dato, ma non il meno importante, è quello che riguarda i poli estremi degli schieramenti classici di Destra e Sinistra.
La Lega Nord, salvatasi in extremis alle elezioni politiche del 2013, appare decisamente rafforzata un anno dopo. Passa infatti dal 4% al 6% circa dei voti, rafforzando la propria base elettorale di 300.000 voti. L'analisi dei flussi elettorali svolta dall'agenzia IPR dimostra anzi che circa l'11% degli ex elettori che aveva votato PDL nel 2013 ha dato il proprio sostegno alla Lega Nord nel 2014, a dispetto degli scandali che avevano spazzato via l'amministrazione Bossi.
Un successo evidente per Salvini, ma che non deve far gridare al miracolo: rispetto al 2009 la Lega è numericamente dimezzata, e non bisogna scordare che i partiti radicali nei confronti dell'Europa, e la Lega in particolare, hanno ottenuto sempre ottimi risultati alle elezioni europee.
Un fallimento pressoché completo coinvolge la lista Fratelli d'Italia. Questo partito, promosso da Giorgia Meloni, Gianni Alemanno e Francesco Storace nel tentativo di ridare slancio alla Destra nazionalista italiana, era entrato in Parlamento italiano un anno fa grazie all'alleanza con il PDL. Nel 2014 però questo schieramento non entra nel Parlamento Europeo, pur incrementando i propri voti sia percentualmente (da poco meno del 2% al 3,6%) sia numericamente (da circa 660.000 a un milione).
Vale comunque la pena ricordare che in occasione delle elezioni europee Fratelli d'Italia si è alleato con La Destra di Storace (che nel 2013 aveva ottenuto circa lo 0,6% con 200.000 voti) e con l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, che si è scisso da Forza Italia sperando di portare con sé alcuni transfughi.
Il principale soggetto della Sinistra, L'Altra Europa per Tsipras, viene generalmente, erroneamente identificato con Sinistra Ecologia e Libertà, ma si tratta di una coalizione più ampia che comprende anche Rifondazione Comunista, il Partito Pirata italiano, oltre a liste civiche e movimenti.
La coalizione non ha però incluso anche i Verdi, principalmente perché i Verdi europei compongono un gruppo a parte nel Parlamento di Strasburgo, né l'Italia dei Valori, definitivamente abbandonata dalla Sinistra dopo il fallimento di Rivoluzione Civile nel 2013.
Dati questi presupposti, e aggiungendo il quasi totale oscuramento mediatico nei confronti di questa iniziativa, il risultato del 4% non è pessimo e consente di riportare la Sinistra radicale italiana nel Parlamento Europeo dopo la debacle del 2009 (dove SEL e Rifondazione corsero separate spezzando il 7% totale ottenuto e non entrando in parlamento).
Nel 2013 SEL aveva ottenuto circa 1.090.000 voti, mentre Rivoluzione Civile circa 765.000 voti. In queste elezioni L'Altra Europa supera di poco i 1.100.000 voti, ma per fare un paragone netto a questa cifra vanno aggiunti i voti dei Verdi (250.000) e dell'IdV (180.000), e bisogna considerare anche l'affluenza al voto decisamente inferiore.
In termini percentuali, la Sinistra rimane più o meno salda nelle proprie posizioni. Assumendo i dati relativi alla Camera dei Deputati, il 5,35% ottenuto nel 2013 da SEL e Rivoluzione Civile è più o meno lo stesso rispetto alla somma dell'Altra Europa, di Verdi e IdV nel 2014, pari al 5,61%.
Bisogna però considerare che L'Altra Europa ha attratto pochi elettori dagli altri schieramenti, principalmente a causa della scarsa considerazione che è stata riservata dai media al progetto. Sempre il sondaggio Ipsos suggerisce un 2% di elettori del PD e un 1% di elettori del M5S che ha deciso di votare L'Altra Europa.
Inoltre, il dato politico più serio per la lista è certamente la spaccatura latente all'interno di SEL, dove Vendola ma soprattutto Gennaro Migliore vorrebbero riallacciarsi al PD, mentre questa linea sembra smentita da una buona parte della base del partito (che nel congresso di SEL del 24-26 gennaio si espresse a maggioranza schiacciante contro la fusione di SEL nel PD) e soprattutto da Rifondazione Comunista (in particolare, Paolo Ferrero e Fabio Amato parlano della costruzione di una Syriza italiana).
Per il momento Nichi Vendola ha confermato la propria volontà di proseguire l'esperienza dell'Altra Europa, ma non è escluso che in futuro possano verificarsi nuove lacerazioni.
L'unica possibilità di sopravvivenza per la Sinistra, dopo questo risultato tutto sommato soddisfacente, è quello di appianare le proprie divergenze interne e compattare le proprie fila, cercando di ritrovare spazio nei mass media. Operazioni tutt'altro che semplici.