Non siamo ancora andati alle urne, ma già possiamo fare una croce sopra queste elezioni e pensare alle prossime. E’ vero che il tema all’ordine del giorno è quanto riuscirà a rimontare Berlusconi con le sue balle, quanto acchiapperà Monti con le sue favole, quanto arriverà a perdere il Pd con i suoi silenzi e suoi patti d’acciaio, a che punto arriveranno Grillo e Ingroia. Ma tutto questo è è in un certo senso lavoro preparatorio, un passaggio del mar rosso dall’era berlusconiana a un’altra repubblica che dovremo decidere noi se sarà oligarchica e tecnocratica, democristiana, socialdemocratica e sociale. E’ evidente che Berlusconi cresce, potrebbe anche vincere, ma che è comunque finito: il suo modello di immobilismo affaristico , Imu o non Imu, non è più sostenibile. Ed’ altrettanto evidente che gli altri protagonisti in campo o sono ottusi ideologi o hanno perso contatto con la realtà del Paese o non avranno i numeri per governare, ma solo per prefigurare.
I seggi non sono ancora aperti ma già sappiamo che ci sarà una travagliata alleanza Monti – Pd che durerà almeno fino alle elezioni tedesche. Il significato della convocazione di Bersani è questo: la cancelliera non può permettersi in campagna elettorale gli scossoni che potrebbero venire dalla messa in discussione degli accordi siglati, non può né aprire il portafoglio, né permettersi lo scollamento dell’Europa e un terremoto dell’euro. La signora Merkel sa bene che l’Italia, ancorché sia il ventre molle del continente, è tuttavia una chiave di volta della costruzione continentale e monetaria e dunque si fida solo di Monti per mantenere lo statu quo almeno fino alle elezioni di novembre. Per questo sta esercitando la massima pressione perché questo sherpa non anneghi nella politica e trovi un posto di comando della zattera. Solo successivamente e se non vi saranno sorprese elettorali mollerà la presa e forse si potrà cominciare a pensare a elezioni meno pesantemente condizionate dall’esterno.
Paradossalmente si tratta di un passaggio alle urne inutile dal punto di vista della formazione di un governo o ancor meglio di una governance già scrittà tra Berlino e Bruxelles, già dettata dalla necessità di arrivare al 3,5% di surplus primario e di sborsare 40 miliardi per il fiscal compact, ma decisive per ciò che riguarda il Paese che vogliamo e per le indicazioni che sapremo dare. Il ragionamento sbagliato è proprio quello di fare i calcoli della serva su Camera e Senato o lamentarsi che alcune istanze siano state tradite o altro ancora: il problema di queste elezioni non è quello di attaccarsi alle etichette per far vincere questa o quella, ma di cominciare riscrivere quelle stesse etichette, quelle stinte e quelle bugiarde. In un certo senso si potrebbe dire che proprio perché inutili, ferreamente condizionate dall’esterno, già impacchettate dentro alcune obbligazioni che i tecnici in comunione con destra e sinistra ci hanno regalato, sono anche più libere, visto che almeno per sette mesi il programma è lo stesso chiunque vinca, al di là dei proclami, delle promesse e delle battute.
Certo è uno strano Paese quello in cui la libertà residuale dipende proprio dalla cattività euro – finanziaria. Ma questo è il risultato di vent’anni vissuti dolosamente. Spero solo che non si perda anche questa occasione.