Elisabetta d’Assia-Darmstadt: la granduchessa martire – II parte

Creato il 11 dicembre 2010 da Marinam

Elisabetta è apparentemente una donna bellissima e perfettamente felice e serena. Certo potrebbe essere solo una messa in scena e se fosse Ella dimostrerebbe comunque di avere grandi doti come attrice. Ad ogni modo la sua forza di volontà ogni tanto mostra qualche vistosa crepa. Per esempio quando le viene chiesto di fare da madre adottiva a Maria e Dimitri, due nipotini rimasti orfani la meravigliosa, affettuosa e dolcissima Elisabetta, la donna eccezionale che preferisce la preghiera e le visite ai poveri alle feste scintillanti (alle quali peraltro va e splende coperta di magnifici gioielli) sta al gioco con qualche difficoltà e la finzione è evidente, come palese è il suo scarso interesse per i piccoli. D’altronde per quale motivo dovrebbe allevare due bambini quando lei non ne ha potuti avere di suoi, perché mai dovrebbe vivere per procura una maternità che le è stata negata?

I bambini sono i figli del granduca Paolo (uno dei fratelli di Sergio) il quale non solo rimane vedovo prestissimo, ma quando decide di risposarsi lo fa con una donna considerata non idonea e per questo Nicola II, infuriato, esilia lo zio e gli toglie la custodia dei due ragazzi. Come padre adottivo Sergio è rigoroso ed esigente, ma devoto ed affettuoso, tuttavia Maria e Dimitri non lo amano e lo incolpano per la separazione dal padre. Ella invece non si investe dal punto di vista emotivo nell’educazione dei nipoti e anni dopo, rimasta vedova, fa di tutto per sbarazzarsi in fretta dei due adolescenti, soprattutto della ragazzina per la quale combina un matrimonio di sicuro insuccesso nella lontana Svezia.

Con l’inizio del nuovo secolo la situazione sociale e politica nell’immensa e contraddittoria Russia, paese ricco e poverissimo, si fa sempre più critica. La mattina del 18 febbraio 1905 a Mosca, tre settimane dopo la domenica di sangue, il granduca Sergio esce in carrozza; pochi minuti dopo il rumore di una violenta esplosione arriva fino alle stanze del Cremlino, residenza del governatore della città. Ella si precipita sulla piazza dove trova uno spettacolo agghiacciante, la carrozza è stata letteralmente sbriciolata dalla bomba. Sconvolta la granduchessa passa ore e ore a raccogliere uno per uno i frammenti del corpo di suo marito e poi nei giorni successivi decide di visitare in prigione l’autore dell’attentato, il rivoluzionario Ivan Kalyayev, per capire le ragioni del suo gesto e convincerlo, se possibile,  a chiedere perdono. Già da anni convertita, per scelta, alla fede ortodossa a cui dedica molto tempo fra studi e meditazione forse sublimando nella religione le sue frustrazioni di donna, Ella con la morte del marito cambia radicalmente vita. Si disfa di tutte le sue proprietà, terre, palazzi, gioielli e con il ricavato fonda sulle rive della Moscova il convento delle sante Maria e Marta, un ospedale, un orfanotrofio e una farmacia e, diventata badessa, consacra tutta la sua vita all’assistenza dei poveri e dei malati. Il mondo per lei non esiste più e lei non esiste più per il mondo. Esce dal suo ritiro solo in rarissime occasioni ed in particolare, su richiesta degli altri Romanov, per compiere a più riprese quella che anche per una donna circondata dall’aura della fede e della quasi santità, si rivela una missione impossibile: far ragionare la sorella zarina.

Alix, ormai Alessandra Feodorovna, madre disperata di un bambino emofiliaco, e Nicola II, marito innamorato e padre apprensivo, sono nelle mani di Rasputin e ad Ella viene chiesto di parlare con la sorella affinché il monaco visionario, odiato da tutti, sia finalmente e definitivamente messo alla porta. Nel 1909 Elisabetta compie un primo tentativo, dopo aver ricevuto le confidenze di una governante messa alla porta dalla zarina perché aveva osato criticare il santone. Ma Alessandra al primo accenno della questione si irrigidisce e congeda con freddezza la sorella che aveva tentato di farle capire i rischi ed i pericoli di una situazione del genere. A nulla serve anche un ulteriore colloquio che si svolge nel 1915 già in piena guerra. Nel 1916 Ella, su richiesta esplicita di tutti i Romanov i quali hanno invano tentato di far ragionare lo zar e la moglie ormai totalmente plagiati e dominati da Rasputin, si reca ancora una volta a San Pietroburgo. Ma di nuovo Alessandra rifiuta di parlare del monaco e quando la sorella accenna a quanto accaduto a Maria Antonietta e a Luigi XVI, la zarina considera la misura ormai colma. Ella viene invitata ad andarsene e uscendo mormora “forse avrei fatto meglio a non venire”. “Si” risponde secca Alessandra. Non si vedranno mai più.

Elisabetta in abito da monaca

Alla fine di quello stesso anno Rasputin viene assassinato durante una specie di congiura di giovani aristocratici fra i quali ci sono anche il granduca Dimitri Pavlovic, il ragazzino orfano di cui Sergio ed Ella si sono occupati e il giovane principe Felix Yussupov che considera la granduchessa quasi come una seconda madre. 

Chiusa nel suo convento, presa dalle cure ai malati, dalla vita comunitaria e dalla preghiera, suor Elisabetta dimentica di essere una tedesca mentre la Russia sta combattendo una guerra sanguinosissima contro la Germania di suo cugino il kaiser Guglielmo II e dimentica anche di appartenere ai Romanov la dinastia che la rivoluzione ha cacciato dal trono e che adesso vuole sterminare. Il Kaiser, suo antico innamorato, riesce a farle pervenire una offerta di aiuto per lasciare il paese, e rifiutando questa mano tesa Ella firma la sua condanna a morte. Il 27 aprile 1918  un gruppo di poliziotti bussa alla porta del convento per arrestare la granduchessa Elisabetta, la quale viene condotta (insieme a una suora che si offre di accompagnarla) fino ad Alapaivesk, una città mineraria negli Urali dove trova molti dei suoi giovani nipoti Romanov, Sergio Mihailovic, Constantin Constantinovic, Igor Constantinovic e Wladimir Pavlovic Paley. Tutti condivideranno la stessa tragica sorte. Il 17 luglio 1918 vengono condotti alla miniera ed Ella è la prima ad essere spinta dentro ad un pozzo profondo 19 metri nel quale poi i soldati gettano delle granate, sperando così di farla finita presto. I condannati però sopravvivono e dal fondo del pozzo si sentono canti e preghiere, tanto che il comandante del plotone ordina di buttare altre granate e anche fasci di legna e detriti. Quando, un mese dopo le armate “bianche” (l’esercito ancora fedele allo zar) conquistano Alapaivesk e i corpi sono estratti dalla miniera, risulta evidente che Elisabetta e gli altri sono morti non per le ferite, ma di fame e sete. La granduchessa probabilmente ha anche cercato di curate i nipoti e infatti le ferite di uno dei ragazzi sono coperte con strisce di tessuto ricavate dagli abiti delle suore. Qualche anno dopo la bara che contiene i resti della granduchessa Elisabetta e di sorella Varvara, una delle suore che era rimasta con lei, arrivano a Pechino, ma nel 1931 sono trasferite a Gerusalemme e sepolte nella chiesa ortodossa di Santa Maria Maddalena. Nel 1981 Elisabetta Romanov viene canonizzata dalla chiesa ortodossa in esilio e nel 1992 dal patriarca di Mosca

Potete trovare alcune notizie, insieme ad immagini esclusive davvero straordinarie, sul granduca Sergio nel sito Noblesse et Royautées

La  seconda immagine di questo post mi è stata gentilmente fornita da Claudio Brunetti che ringrazio per la collaborazione.


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