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Elizabeth Taylor

Creato il 24 marzo 2011 da Albertogallo

la gatta sul tetto che scotta

La morte di una star di Hollywood è spesso un triste argomento capace di offrire, al di là del dispiacere che può provocare, trattandosi ovviamente di un fattore soggettivo (in questo caso, per esempio, non posso dire di essere particolarmente addolorato, sebbene Liz abbia girato alcuni dei film più belli del cinema americano del dopoguerra), molti spunti di riflessione.

Il primo spunto di riflessione non può che scaturire dalla constatazione del triste stato in cui versa la stampa “specializzata” italiana: un rapido giro sulla versione online di alcuni quotidiani generalisti del nostro Paese dimostra quanto chi dovrebbe parlare di cinema, o comunque della vita di una persona che il cinema ha contribuito a forgiarlo e che dal cinema è stata forgiata, si riduca nel migliore dei casi a snocciolare un elenco di curiosità, nel peggiore a fare semplice e banale gossip. L’espressione più gettonata, in questi giorni, è stata “otto matrimoni”, seguita a ruota da “premio Oscar”. Come sempre mi succede in questi casi non posso che chiedermi se anche su questioni ben più importanti del cinema hollywoodiano i giornali italiani siano così imprecisi e faciloni (e, a giudicare dal modo in cui sono state giornalisticamente affrontate le recenti tragedie mondiali, direi che la risposta non può che essere affermativa).

elizabeth taylor

Il secondo spunto di riflessione prende vita, invece, dal cinema attuale. Dal momento che, come sempre accade quando una star lascia questa (per lei dorata) valle di lacrime, son tutti lì a piangere sulla dipartita dell’”ultima diva o divo di Hollywood”. Altra aberrazione giornalistica, certo, ma in questo caso un fondo di verità c’è, dal momento che è sempre più difficile, nel cinema attuale, trovare quelle figure mitiche che affollavano le pellicole di cinquant’anni fa, attori più o meno bravi capaci comunque di trascendere dall’elemento cinematografico per entrare di peso nell’immaginario collettivo. Ma più che di un problema di attori si tratta forse di un più generale cambio di atteggiamento del pubblico nei confronti della settima arte, incapace, oggi, di sconvolgere le menti delle masse come un tempo. Piangeremo, tra qualche decennio, la morte di Scarlett Johansson? Quella di George Clooney? Con tutto il rispetto e la buona volontà credo proprio di no.

La terza questione, la più importante, si chiama cinema. Perché Elizabeth Taylor, che nacque in Inghilterra 79 anni fa, è stata protagonista di una mancaita di pellicole memorabili, rese da lei, con la sua bravura e la sua bellezza abbagliante, ancora più luminose. Sì, luminose, abbaglianti… luce! Quando si ripensa ai suoi occhi nella Gatta sul tetto che scotta o alle sue espressioni disperate in Chi ha paura di Virginia Woolf? non possono che venire in mente simili ardenti metafore. Nella sua lunghissima carriera Liz ha avuto modo di lavorare con alcuni dei migliori registi americani, da Vincente Minnelli (Il padre della sposa, 1950) a George Stevens (Un posto al sole, 1951, e Il gigante, 1955), da Joseph L. Mankiewicz (Improvvisamente l’estate scorsa, 1959, e Cleopatra, 1963) a Mike Nichols (il già citato Chi ha paura di Virginia Woolf?) al nostro Franco Zeffirelli (La bisbetica domata, 1967). Accanto a lei sul set nomi altrettanto mitici come Paul Newman, il due volte marito Richard Burton, James Dean e Montgomery Clift. C’è altro da aggiungere? Be’, sì, in effetti due premi Oscar li ha vinti, per lo sconosciuto (o almeno, io lo sento nominare oggi per la prima volta) Butterfield 8 (1960, di un certo Daniel Mann) e per il meraviglioso, già ri-citato, Chi ha paura di Virginia Woolf?

Alberto Gallo


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