Elogio del numero sette (Parte Prima)

Creato il 10 aprile 2014 da Astorbresciani
Pochi minuti fa ho letto su Il corriere della Sera una notizia alla quale non avrei mai fatto caso se non fosse che riguarda il numero 7. Pare, infatti, che un recente sondaggio realizzato su 44.000 internauti abbia rivelato che è il numero più popolare al mondo. E allora? – vi chiederete. Il fatto è che il numero sette è il mio preferito, tant’è che moltissimi anni fa scrissi un divertissement tuttora inedito sul sette, dal titolo "Ci sei o ci fai?". È un virtuosismo, uno scherzo giovanile innocuo, frutto del mio amore viscerale per le parole. Voglio dedicare quel vecchio testo che mi divertii a scrivere e che per ragioni di lunghezza pubblico in rete frazionato in tre parti, tre post successivi, a tutti quelli che, come il blogger, matematico e giornalista inglese Alex Bellos, autore del sondaggio, scoprono solo ora le meravigliose valenze del sette. Divertitevi. E fatevi contagiare dalla magia del numero più popolare al mondo, con il quale, ne sono certo, avete fatto i conti più volte e sul quale si può scrivere e ridere impunemente.

Ci sei o ci fai?

Sono nato il sette ottobre, sotto il segno della bilancia. Settima costellazione zodiacale, la migliore. Ero settimino e i sanitari del reparto maternità dell’Ospedale di Lipari, una delle sette isole Eolie dove mia madre fu colta dalle doglie, non sapevano cosa fare quando si accorsero che non respiravo. Ma l’ostetrica non si perse d’animo e consultò le sette sfere celesti attraverso le quali l’anima sale a Dio. Afferrato un cacciavite, la levatrice mi aprì i sette chakra, cambiando per sempre il mio destino. Prima, però, mi spezzò per sbaglio le sette ossa del tarso. Il dottor Settimio Severo (giuro che si chiamava così!) sudò le proverbiali sette camicie per rianimarmi e solo dopo avere starnutito sette volte, come Eliseo, ritornai in vita. Feci i primi sette passi, a imitazione di Buddha, e intuii che quella era la mia ultima nascita. A quel punto, il ginecologo mi donò un settedi valigie delle Indie e gli stivali delle sette leghe. «Ho capito!» esclamai interpretando il suo gesto come un invito a togliermi dai piedi il più velocemente possibile. Lui, invece, interpretò la parte di Paul Newman ne “L’uomo dai settecapestri” e s’impiccò a un ramo dell’albero di Jesse, dove dimorano sette spiriti, forse per il rimorso d’avermi salvato. Nel frattempo, un settecolori (nome vulgaris del Passerina Ciris) che aveva fatto il nido sulla cima della zikkurat a sette piani che si trova in mezzo ai sette corsi d’acqua dell’Eufrate, si era posato sul dorsale della mia culla dopo avere volato per sette giorni, coma la colomba di Noè. Notai che aveva sette teste, come il naja d’Angkor, e non saprei dire con quanti e quali occhi mi fissasse. Un nanosecondo dopo fui distratto da un potentissimo boato. Nel campo delle sette pertiche risuonavano le sette trombe dell’Apocalisse e intuii che dovevo proprio partire. Sì, ma per dove? Gli assiri pensavano che la terra fosse composta da sette isole circostanti Babilonia e sette regioni estese aldilà di un oceano celeste. Una valeva l’altra, pensai. Ma l’uccellino mi confidò il segreto delle settecomari, grazie al quale avrei potuto fare la scelta migliore. Pur tuttavia, esitai e decisi di ritirarmi in meditazione sul monte Meru per sette anni, come il divino Krishna. Meditai a lungo e acquisii le sette fortezze dell’anima di cui parla santa Teresa d’Avila e, prima di lei, il mistico Nuri di Baghdad. Superata senza traumi la crisi del settimo anno, osservando dall’alto i settecontinenti, finalmente presi la decisione di tuffarmi nel fiume della vita. Purtroppo era in secca. Mi fratturai le settevertebre cervicali, ciò nonostante mi rialzai e feci sette giri di riscaldamento, alla maniera di una biga romana nel Circo Massimo, poscia m’incamminai per i settecolli come se fossi uno dei sette re di Roma septemgemina e non un povero neonato sfigato. Insomma, il dado era tratto. Erano usciti il cinque e il due, cioè sette. Dapprima soggiornai sette anni nel Tibet, dove conobbi i settedei della felicità e percorsi i settesentieri celesti. Poi mi trasferii a Dubai, uno dei sette Emirati Arabi Uniti, dove fui adottato dalle sette sorelle. Ma non sopportavo il rincaro del petrolio né la puzza di benzina e perciò andai a Tenerife, una delle sette isole Canarie, e da lì migrai in Italia. Fischiettavo allegramente le settenote della gamma diatonica quando giunsi all’altopiano dei sette comuni. Nei pressi di una baita dove un contadino vendeva il formaggio derivato dal latte delle settevacche grasse sognate da Giuseppe, incontrai i sette nani dediti all’alpeggio. Mi confessarono d’avere lasciato Biancaneve ad Asiago a spassarsela coi settevolontari del Texas. O erano i magnifici setteguidati da Yul Brynner? Ha poca importanza, in fondo. Lassù fra le montagne, a settemila piedi, i sette cieli si distinguevano così bene che allungai una mano per sfidare a braccio di ferro il più energumeno dei sette arcangeli. Quel demonio aveva sette braccia come il candeliere ebraico del Tempio di Salomone e logicamente ebbe la meglio. Gettai la spugna, che colpì negli occhi le sette stelle dell’orsa Maggiore accecandole. L’improvviso black-out scatenò un panico cosmico nella costellazione delle Pleiadi, così che le settefiglie di Atlante non riconobbero più i loro sposi e si congiunsero, di volta in volta, coi sette deva indiani, i sette amshanspends persiani, i sette sephiroth della Cabala, i sette grandi angeli della Caldea, i sette Papi avignonesi, i sette santi che scortavano san Giorgio quando sconfisse il drago e, dulcis in fundo, i sette demoni che secondo Luca furono scacciati dal corpo di Maria Maddalena. Insomma, esplose un’orgia incredibile e gli unici a non divertirsi furono i poveri mariti, ai quali spuntarono le corna a sette palchi... (continua)

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :