Elogio della corruzione
Il titolo è volutamente provocatorio ma è bene non essere umorali prima di saltare alla conclusioni e lapidare l’autore di questo intervento.
Quel che d’acchito può apparire disonesto ed immorale non è detto che, in fondo, lo sia. La grandi trasformazioni sociali sono perennemente intrecciate alla tragedia e al sacrificio, anche estremo, di individui e gruppi, per agguantare gloria e trionfi.
Non v’è disegno collettivo che non si accompagni a mirabili ideali e truci inganni, ad eroiche aspirazioni e basse menzogne, all’immolazione corporale per la causa e al cedimento tattico per la preservazione della strategia complessiva, di quanti si mettono in ballo per affrontare gli eventi ed incidere sui medesimi.
Se una determinata iniziativa è finalizzata a raggiungere più elevate mete ed un miglioramento comune, mai esente da sforzi immani e spesso devastanti, se essa mira a cogliere il senso dei rivolgimenti epocali per mettersi a capo dei mutamenti, significa che quel primigenio giudizio era stato, quanto meno, affrettato.
Sono gli esiti e i traguardi toccati a smentire quest’ultimo, come direbbe il Croce, ed è la neghittosità intellettuale e l’accecamento dogmatico che fa sorgere la scomunica e scorgere la nequizia laddove si affacia la Storia.
Lo sdegno e l’indignazione dei predicatori dalla vista corta e dalla tunica lunga, almeno quanto la lingua, producono unicamente arretramento ed oscurantismo, frenando gli spiriti animali che rendono vive e combattive le varie formazioni antropiche.
Ai moralizzatori di casa nostra, col codice penale in bocca e la segatura nel cervello, staranno fischiando le orecchie, ma è bene spiegare a lorsignori che nessuna civiltà è mai progredita adottando i categhismi integrali del giustizialismo e del legalitarismo. E’ giusto che le regole esistano e che vengano, fin dove possibile, rispettate, ma ci sono sempre gli stati d’eccezione a sconfermarle, quelle circostanze mutevoli ed imprevedibili che creano nuovi contesti e richiedono adattamenti organizzativi. Anzi, se si guarda alla nostre faccende passate, uno dei periodi di massimo splendore per l’Italia è stato proprio il Rinascimento, epoca di scoperte scientifiche e di prosperità culturale ed economica ma anche di complotti, intrighi e ammazzamenti a sfondo politico (e di ogni altro genere criminale).
In questi giorni, è uscita nelle sale italiane l’ultima fatica cinematografica di Steven Spielberg, Lincoln, la storia del 16 Presidente degli Stati Uniti D’America. Gli americani sono bravissimi nel trattare le loro questioni nazionali che non mancano di narrazione agiografica ma, ugualmente, non tralasciano il cinismo che ne sta alla base. Lincoln è ricordato nei libri e nell’immaginario collettivo mondiale per aver combattuto il regime di schiavitù del Sud. Tuttavia, non si trattò, tanto ed esclusivamente, di un fatto umanitario ma di una necessità strategica, politica ed economica dei suoi tempi.
Come scrive l’economista veneto Gianfranco La Grassa, quel conflitto era propedeutico all’acquisizione delle condizioni-base per l’ ascesa degli Usa a prima potenza mondiale: “L’evento cruciale fu la guerra civile o di secessione del 1861-65 che fu sanguinosissima. Si confrontarono l’Unione (del nord) e la Confederazione (del sud). La simpatica e nobile scusa – di cui Abramo Lincoln viene considerato, sbagliando completamente indicazione, l’idealista portatore – fu la liberazione degli schiavi, lavoranti nelle piantagioni di cotone del sud. In realtà, la questione era molto più prosaica. I confederati, produttori di cotone esportato verso l’Inghilterra della prima Rivoluzione industriale (industria soprattutto tessile), sostenevano le virtù del libero mercato e dunque del commercio internazionale senza intralci tra loro e l’Inghilterra. Questa era l’ideologia propagandata, ad es., da Thomas Cooper, mediocre economista, che seguiva le tesi ricardiane della teoria dei costi comparati. Il Nord non se ne diede per inteso, voleva sviluppare l’industria, utilizzando il protezionismo necessario per una certa fase iniziale di irrobustimento della stessa; seguendo quindi semmai l’impostazione listiana dell’“industria nascente”. Per ottenere tale risultato, dovette però schiacciare il Sud; e per schiacciarlo incrementò non soltanto l’industria in genere, ma pure quella delle armi, con tutte le innovazioni che questa comporta quando è messa alla frusta”.
Nella pellicola di Spielberg emerge l’elemento economico, quello dello svantaggio competitivo del Nord che non può usufruire di mandopera gratis come nel Sud (cosa che ostacola la costituzione di rapporti sociali e produttivi pienamente capitalistici), mentre è carente quello politico (l’impellenza di recidere la dipendenza dall’Inghilterra per ragioni geopolitiche). Tuttavia, ciò che non difetta è la descrizione dei mezzi, poco ortodossi, di cui Lincoln si serve per raggiungere i suoi legittimi e progressivi (per tutta la società americana, anche per quella parte che gli è nemica) obiettivi. Il Presidente corrompe i “congressisti” dell’opposizone, ne compra i voti promettendo incarichi e prebende, tutto pur di far approvare il XIII emendamento contro la schiavitù. Insomma, il capo dei Repubblicani esaurisce i suoi scopi grazie al suk dei parlamentari, per mezzo di corruzione e regalie. Immagino che anche laddove detto stratagemma fosse fallito, egli sarebbe ricorso a sistemi ancor più persuasivi…
Se oltreatlantico, in quelle contingenze, fosse vissuto un avo di Marco Travaglio, probabilmente costui avrebbe chiesto l’immediata messa in stato d’accusa del Presidente, con l’invocazione ai giudici di una pena esemplare al fine di rieducare il malfattore.
E così, torniamo alla questione iniziale per trarne una “morale”. Torcendo il bastone ed estremizzando i risultati della disquisizione , potremmo affermare che l’umanità si fonda sull’immoralità, tuttavia, c’è chi si serve di sotterfugi ed inganni, in maniera ingegnosa, per avvicinare orizzonti superiori e perseguire trasformazioni necessarie e chi, invece, per satollare bassezze sicofantesche e incliazioni da lestofante. Dunque, sono gli esiti, solenni o infimi, delle destinazioni ambite che fanno la differenza tra gli eroi e i farabutti. Ad ogni modo, con con tutto il disprezzo che si possa provare per i secondi, i quali finalizzano, in ogni caso, un’utilità, benchè egoistica e particolaristica, c’è un’altra categoria di soggetti che merita maggior biasimo e commiserazione: i paladini della purezza e della moralità insidacabile.
Costoro, per troppo zelo umorale e cieco dogmatismo valoriale, finiscono col credere al primo ciarlatano che trasforma in predica pubblica i loro guaiti puritani e i loro belati civici. Senza procurarsi vantaggi ma cagionandone agli altri e alla comunità nel suo complesso. Quando il gregge s’accorge di essere stato tradito, come puntualmente accade, è troppo tardi per rimediare. Convinto di andare a fare un macello si ritrova scorticato in una macelleria. Per questo odio i moralizzatori ma, soprattutto, il loro seguito di beoti.