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Dopo la tempesta di disordini e botte che sabato si è abbattuta su Roma, il sereno riporta la concentrazione su quella che sarebbe dovuta essere la causa della manifestazione: l’emergenza abitativa.
La manifestazione sarebbe dovuta essere, nei programmi, una pacifica protesta contro il cosiddetto “caro abitazione”, un problema che coinvolge circa 5 milioni di famiglie italiane, secondo il Sicet, il sindacato degli inquilini.
L’espulsione di diversi manifestanti francesi, sicuramente poco interessati al problema del crescente numero di sfratti per morosità nel Bel Paese, è la prova evidente di come il problema sia servito da pretesto per i disordini.
Ad onor del vero, bisogna dire che hanno animato lo spirito di rivolta anche No Tav, No Muos, sindacati e militanti di Casa Pound.
Il dato fondamentale è che la maggioranza degli italiani vive in una casa di proprietà, quindi l’obiettivo è trovare soluzioni per quei concittadini che devono pagare un affitto.
L’argomento, per una volta, non riguarda la famigerata IMU, ma la “service tax”, la nuova tassa che introduce oneri anche per gli inquilini.
I costi degli affitti sono alti, non eccessivamente alti se paragonati a molti altri paesi europei, sicuramente alti se confrontati con i salari in Italia.
Il Sicet stima che, nella maggioranza dei casi, il 70 % dello stipendio di un inquilino sia utilizzato per il pagamento del canone di locazione, una cifra sicuramente alta se si considera che spesso gli inquilini sono famiglie con figli a carico.
Gli organizzatori della protesta lamentano un atteggiamento miope della politica, accusano le istituzioni di pensare alle solite vecchie soluzioni dell’edilizia popolare, aumentando al contempo la pressione fiscale su una categoria già colpita dalla crisi.
Le associazioni ambientaliste si oppongono all’idea di un’ edilizia popolare all’italiana, un modello che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi quarant’anni, fatto di abusivismo e scempio paesaggistico.
In piazza, i rappresentanti degli inquilini chiedono un blocco dello sfratto per morosità, proponendo soluzioni difficili da realizzare in un sistema ad economia di mercato; è facile capire come gli interessi coinvolti siano molteplici e in contrasto.
Nessun cittadino ragionevole vorrebbe vedere la cementificazione di ampie zone di territorio della Penisola (dato che già il nostro paese è quello che cementifica di più in Europa), ma nemmeno è possibile che in uno Stato serio ci si spinga a sospendere o riconfigurare un diritto come quello di credito.
Tuttavia, tra la prima ipotesi, fredda e razionale e la seconda, assolutamente utopistica, ce n’è forse una intermedia: il Social Housing.
Il problema del costo degli affitti, infatti, è risolto in molti altri paesi europei attraverso questo nuovo sistema, che rivoluziona in toto l’ urbanistica e l’ edilizia.
Il Social Housing esce dall’impronta consumistica dell’edilizia del “solo nuovo è bello” e prevede l’intervento della pubblica amministrazione (solitamente enti territoriali locali) affiancati da privati (spesso istituti di credito e fondazioni bancarie).
Vengono recuperati edifici pubblici in disuso -in Italia sono migliaia- che vengono riadattati in complessi residenziali. Tali complessi sono in grado di ospitare famiglie, anziani e tutti coloro che non sono in grado di pagare un normale canone di locazione.
I prezzi sono inferiori, essendo stabiliti al di fuori delle normali regole di mercato e i vantaggi evidenti: non si dovrebbe più cementificare e i privati avrebbero un ritorno economico dall’investimento.
Non c’è nulla di male a rispolverare qualche teoria liberal – socialista, specie se la teoria conduce a risultati pratici evidenti.
Spesso ci si vanta di vivere in uno stato sociale, questa potrebbe essere la prova che “sociale” non sia solo un inutile aggettivo.
L’articolo 41 della Costituzione recita: “L‘ iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.”
Quale attività economica privata potrebbe essere più in accordo con l’utilità sociale ?
E’ ovvio che, per sua natura, il Social Housing sia temporaneo, ma se applicato in modo serio da ogni comune potrebbe diventare una soluzione più sostenibile ed economica al problema del caro-abitazioni.
In altre parole, se ogni Comune catalogasse i propri immobili e avviasse progetti di housing sociale potremmo avere meno sfratti e più verde, potremmo evitare lo scempio paesaggistico e il degrado di molti quartieri popolari.