Magazine Diario personale
Vorrei tanto che un bel giorno tutti coloro che hanno un'occupazione o una missione da svolgere, uomini e donne, sposati o no, giovani e vecchi, seri o superficiali, tristi o allegri, abbandonassero le loro abitazioni e le loro incombenze, rinunciando a ogni dovere e obbligo, per uscire in strada e non fare più nulla. Tutta questa gente abbrutita, che sgobba senza sapere perché, o si illude di contribuire al bene dell'umanità, che fatica per le generazioni future sotto l'impulso della più sinistra delle illusioni, si vendicherebbe allora di tutta la mediocrità di una vita vana e sterile, di tutto questo spreco di energia privo dell'eccellenza delle grandi trasfigurazioni. Come amerei questi momenti in cui più nessuno si lascerebbe allettare da un'illusione o da un ideale, né tentare da alcuna delle soddisfazioni che offre la vita, in cui ogni rassegnazione sarebbe illusoria e in cui tutte le cornici della vita normale salterebbero definitivamente. Tutti coloro che soffrono in silenzio senza avere il coraggio di esprimere la loro amarezza neppure col più debole dei sospiri urlerebbero allora in un coro di sinistra disarmonia, le cui grida sconvolgenti farebbero tremare la terra intera. Possano le acque scorrere più impetuose e le montagne scuotersi minacciose, gli alberi mostrare le loro radici a perenne e orrido ammonimento, gli uccelli gracchiare come corvi, e gli animali fuggire spaventati fino a cadere sfiniti. Tutti gli ideali siano dichiarati nulli, le credenze bazzecole; l'arte una menzogna, e la filosofia uno scherzo. Tutto sia un'elevazione o un crollo. Zolle di terra volino in aria per poi disperdersi portate dal vento; le piante descrivano sullo sfondo del cielo arabeschi bizzarri, contorsioni grottesche, figure deformi e spaventevoli. Turbini di fiamme si elevino in uno slancio selvaggio, e un baccano atroce invada il mondo, affinché anche la più piccola creatura sappia che la fine è prossima. Possa tutto ciò che è forma diventare informe, e il caos inghiotta in una vertigine universale, tutto ciò che in questo mondo ha struttura e consistenza. Tutto sia una convulsione demente, un fracasso enorme, terrore ed esplosione, di cui resterà soltanto un silenzio eterno e un oblio definitivo. Possano gli uomini, in questi momenti della fine, vivere a una tale temperatura che tutto ciò che l'umanità ha mai provato in fatto di rimpianti, aspirazioni, amore, odio e disperazione esploda in loro in una deflagrazione definitiva. In un simile momento, in cui quasi tutti gli uomini abbandonerebbero le proprie occupazioni, in cui più nessuno troverebbe un senso nella mediocrità del dovere, in cui l'esistenza sarebbe schiantata dalle sue contraddizioni interne, che cosa resterebbe, se non il trionfo del nulla e l'apoteosi finale del non essere?
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