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Emilio Cecchi, Papini e Firenze

Da Paolorossi

Nel Papini una irresistibile fiorentinità di visione e di stile, zuffa con una altrettanto irresistibile onda di sublimismo celtico : ogni parola esatta e geniale, serrata da presso dalla sua nemica mendace o boriosa; ogni pagina felice e potente incastonata fra due pagine di deplorevole romanticismo. E per accettare il libro ho da ripensare l' uomo, colla sua cultura inquieta e farraginosa, con il suo eclettismo doloroso, ma anche vizioso ; ho da ripensare, nel suo passato, nelle sue qualità, questo temperamento di idealista e positivista ad un tempo, sollevato da una torbida ostinazione di cose assurde, come da un perpetuo soffio di sturm und drang provinciale.

Ma il ritratto non comincia ad essere rassomigliante finché sullo sfondo [...] non vediamo delinearsi Firenze ; una Firenze soleggiata e invernale, con gli stocchi neri dei cipressi piantati nella cenere degli ulivi sull'ondulazione delle colline, dalle quali il vento scende a fare impeto per le strette vie, chiuse sotto le larghe grondaie dei palazzi nudi.
La nota vera del Papini è quasi sempre magra e atroce, e non dico per certa atrocità che talvolta egli ostenta con un fare grossolano da carnefice, sibbene di una atrocità più profonda, lirica. Determinare le ragioni storiche, etnografiche, psicologiche che possono sostenere l'attribuzione di questa seconda atrocità, addirittura come carattere fondamentale dello spirito fiorentino in genere, nel presente e nel passato ; proporsi di cercarne le tracce oltre che nei monumenti del crudo trecento, nei monumenti e nelle opere della così detta gioconda e sensuale rinascenza, potrebbe essere occasione a scrivere un libro e curioso. Certo, è in Firenze una indefinibile diffusa angoscia, come i putti di certi sepolcri del quattrocento hanno nell' impronta del riso, nel girare degli occhi, nella floscezza della carne, un luctus irrimediabile, come le Madonne del Botticelli e di Filippino, intorno ai chiari occhi, portano i cerchi del pianto, come il tripudio della primavera non riesce mai a dissipare, nelle vìe di Firenze e negli stessi campi, il soffio di una tale gelidità nascosta.

Questa particolare gelidità io trovo nel Papini e mi piace. Si sente che egli ha portato addosso, nel cuore e nei sensi, se non in tutto il suo organismo intellettivo e morale, le sue invenzioni, e, almeno per una parte esigua, esse sono divenute paesane.

( Emilio Cecchi, Giovanni Papini, Parole e Sangue , tratto da "Studi Critici" - Giovanni Piccini e Figli Editore, 1912 )

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