Emma Pretti è nata a Trino in provincia di Vercelli. Collabora con numerose riviste italiane e straniere con poesie, traduzioni, recensioni e racconti. Suoi testi poetici sono presenti nell’antologia Giovani poeti nati dopo il ’50, diretta da Edoardo Sanguineti e curata da Adriano Spatola.
Il suo primo libro di poesia, Assurde presenze perfette, è del 1995 (Giardini editore). In seguito ha pubblicato Battaglie nane e a raccolta di poemi Viaggio da Ovest a Est (Istituti Poligrafici Internaz.- Pisa). Nel 2002 Economia del bosco (Caramanica Editore), A Caccia in paradiso edizioni Joker 2005 – e la recente raccolta di liriche I giorni chiamati nemici edita dalla Società editrice Fiorentina ( SEF) nel febbraio 2010, che apre la collana “ Ungarettiana” diretta dai Prof. Paolo Valesio e Alessandro Polcri – La raccolta è alla sua seconda edizione.
Suoi racconti sono apparsi sulle riviste Italian Poetry Review e Le colline di Pavese.
Nel 2010 ha vinto il concorso indetto da Puntoacapo Editrice “La Vita In Prosa” con il racconto Randagi. È presente nell’antologia di Poesia del Piemonte e Valle D’Aosta di Puntoacapo Editrice.
È un approccio molto personale quello di Emma Pretti alla poesia, che ora sgorga fluida in versi calibrati e fortemente evocativi, ora rallenta e si dissolve in descrizioni attente e minuziose fino a diventare quasi prosa.
Come in un quadro di Chagall, immagini reali e sensazioni legate a ricordi di vita vissuta si avvicendano, strofa dopo strofa, sovrapponendosi ad una dimensione fantastica in cui le tinte vivaci del sogno e del possibile illuminano gli angoli a volte oscuri dell’essere.
Le poesie di seguito presentate, nel loro ordine, rappresentano bene questa sorta di cammino che l’autrice suggerisce nei suoi scritti, molti dei quali, proprio per la loro originalità, meriterebbero una lettura più completa e approfondita.
Lo scopo della pazienza
Con un po’ di pazienza il frutto del melograno appassisce,
si svuota all’interno e comincia a portare fortuna.
Le sue rotondità rinsecchiscono come le gote di una
vecchia centenaria, che vorremmo tenere
tra le mani e interrogare per ottenere rassicurazione
e saggezza; il conforto di un consiglio disinteressato.
Tastare una pelle rugosa è come leggere il paesaggio
grinzoso dell’esistenza: dal germoglio all’albero,
la corteccia aggressiva per le sue battaglie; lo splendore
di una fioritura inaspettata e fugace, il frutto
che nacque e cadde. Fu raccolto – E si rabbuiò,
per inoltrarsi in un folto, intricato passaggio
di generazioni.
Preghiera di primavera
Se possiedi una tasca per le ingenuità,
una tasca profonda ma non logora
allora ficcaci dentro il mio sorriso:
apparirà luminoso in cucina e nel giardino.
Non sarà il solo ma ti farà compagnia.
Se tremerà d’imbarazzo, o sforzo, o fatica,
come le stelle di notte
lo vedrai.
Suggerisci propositi alla mia mano,
spronala a non fermarsi mai; ci sono piramidi
da costruire tutti i giorni.
Fai un gesto – e nelle sere di primavera scaccia
quel senso di profondità, e spazio e malinconia
che ci propone il cielo troppo terso.
Coloralo, vestilo di piume.
Sorveglia l’aria intorno a me.
Controlla il mio respiro da moscerino,
che non si spenga nel sonno
che non singhiozzi o si abbandoni
all’alta marea. Non manchi proprio
metà salita.
Non sono in grado di distinguere l’ansia
dalla paura.
Ma soprattutto, visto che le ginocchia possono bloccarsi,
ma il tuo occhio resta sempre sveglio – ti prego,
non smettere mai di guardarmi.
(Dalla serie Variazioni di primavera)
Fino alla tenerezza
La primavera comincia così
nella campagna che si risveglia
sotto un cielo grigio e tiepido.
Un inizio in sordina, niente
uccellini azzurri al mattino,
niente burrasca in arrivo.
Il peso dei colori carichi di severità.
Dell’inverno rimane una fermezza che
non demorde -
ed è giusto il suo freno. La natura
ha un’educazione sentimentale
da proporre.
Una giornata di sole sarebbe troppo
entusiasmo fuori luogo.
Imparare a cavarsela in modo silenzioso,
sotterraneo. Trattenere la commozione
e l’esuberanza.
Prepararsi ai fatti con serietà.
Un brivido scrupoloso percorre la terra
smossa,
l’aria carezzevole glielo concede.
È un’indulgenza questa che nella
lentezza ci porterà lontano.
Un mondo al confine dei mondi
È arrivata la stagione delle spose,
delle domeniche in macchina, i lunapark,
le sagre di primavera. Delle orchestre che suonano
nelle feste di piazza. Cantanti con ciuffi tinti
e mucchi di capelli arruffati. Minigonne a buon mercato,
sciantose procaci che gorgheggiano.
Il programma in cartellone saluta un’aria nuova, accende profumi
e istiga le zanzare contro di noi.
Fazzoletti come vestiti. La vita possiede il fascino della lotteria.
Ma io non sono così viva. Vorrei entrare nell’autunno,
tra foschie e presagi, e fantasmi
di Ognissanti che non conosco
ma continuano a salutarmi da lontano.
Non so perché s’intromettono. Qualcuno
me li ha appioppati. E’ arrivata una telefonata
a metà mattina: piangeva pregandomi di ascoltarla.
Piangeva – fastidiosa, si, scocciante come un moscone
che interrompe la lettura. Lasci che ronzi un po’
e quando cerchi di scacciarlo non c’è più,
inghiottito dall’aria stessa. Diceva: – ricordati sempre
delle cose ultime, estreme, definitive,
che esse siano il primo pensiero del mattino
e quello finale della sera.
Che siano una finestra sulla tristezza
e la barriera di ogni emozione, il termometro
della gioia, e rallentino l’incalzare sfinito
di una melodia eccessiva.
Solo così mi renderai la tranquillità che ti sto inviando
tra queste siepi a martello impossibili da sfiorare.
Il mondo al confine dei mondi galleggia
dentro una gelatina opalescente che riesce a nascondermi
mentre t’imbarchi per chissà dove, calpesti la mia terra
senza vederla – e ti lascio fare.
Le perle, le perle di questa nebbia sono qui
per essere raccolte. Io mi chino e tu sussulti.
La loro luce improvvisa sarà quell’attimo
in cui dubiti, giurando di aver visto. -
Il Mangostano
Da dove sbuchi questo vecchio insegnante di windsurf
è presto detto: direttamente da una primavera hitleriana
del ’39. Figlio, vecchio figlio di una stagione di bollori
e mostruosità.
Un aratro ha dissodato il tempo portando in superficie
questo stravagante prodotto di incitamenti e ostinazione
della volontà.
Direttamente fuori dalla “ Terra nera”, plasmando se stessi
in obbedienza a un progetto di perfezione
- dice che si può fare, senza offendere il vento, calcolando gli
equilibri lungo il taglio delle onde fino alla lievitazione.
Distribuendo il peso del corpo sul pelo dell’onda
con gesti plastici; i folli occhietti azzurri,
folli d’acqua e di vela agitata.
Sopra l’asse si mette in posa per se stesso.
Il windsurf è un’arte, dove l’arte
“è una missione votata al fanatismo”
Quante sfolgoranti ossessioni foderarono la sua gioventù!
La ragazza più bella della scuola che aspettava
un invito sulla giostra, il violoncello come sua seconda
passione; il Partito catturò la sua adesione entusiasta.
- Ancora oggi commercia in inganni.
Quando smolla la vela nell’acqua e trascina
la tavola a riva, si dedica a reclutare clienti patetici,
a modo loro nostalgici e dispersi.
Gli procura un sedicente elisir di Mangostano,
un intruglio che ha l’aspetto di un brandy casalingo,
una bottiglia clandestina, senza etichetta.
- Il prezzo a discrezione.
Davanti a certi miraggi il buon senso si lascia facilmente
indietro.
Ad aspettarlo vicino all’ombrellone c’è un signore tarchiato
e fiacco nei suoi anni, che lancia una scoreggia nell’aria
e poi si guarda intorno circospetto e mortificato.
Le belle ragazze in costume gli riempiono la vista di desiderio
e rinuncia.
Neanche desiderio, solo ricordo di una bramosia, del suo calore,
dell’addormentarsi con quel pensiero – Voluttà e lontananza
riportano alla mente la stessa vibrazione; nel ricordo di quella
frenesia, sembra anelare ancora qualcosa,
ma l’oggetto non è fatto di carne, piuttosto della stessa
sostanza dei baci. Liquido incandescente e soave.
Lo scambio tra un ragazzo e una ragazza, la stessa cascata di sole
dietro alte finestre chiuse. Lo splendore di quella felicità,
giù in discesa, all’infinito – Giovani –
A questo serve il mangostano: condurre l’illusione di una scintilla,
stringendo in mano il succo dell’eterna energia,
del vivere per sempre gagliardi e felici, sempre accesi
dietro la scia di una libecciata; giovani e tra amici,
chiome senza pace né riposo, con l’autoradio lanciata a palla,
il gomito fuori dal finestrino, spavaldi, disposti a prendere a
pugni il fresco della notte.
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