Sanremo 2016: mercoledì 10 febbraio, seconda puntata dell’annuale maratona festivaliera. Di solito, una fisiologica flessione negli ascolti, un momento di stanca e di passaggio. Ebbene, tutto ciò non si è verificato. Non solo la percentuale dello share è stata mantenuta rispetto alla serata precedente – mediamente il 50% circa in entrambe – ma lo spettacolo ha offerto momenti di elevata espressione artistica.
Non mi riferisco a Eros Ramazzotti che si è portato a casa una standing ovation dell’Ariston (permettetemi di esprimere qualche perplessità…) o a Nicole Kidman che, come ho letto oggi su vari giornali, “ha ipnotizzato” il teatro. E vabbè, rispettiamo i gusti… Alludo all’esibizione di Ezio Bosso giustamente osannato dal pubblico in sala, omaggiato da tweet in diretta, post su Facebook, attestati di ammirazione sui social network e i quotidiani anche oggi.
Doverosamente, meritatamente, opportunamente.
Esecuzione fantastica, brano stupendo, un pianoforte i cui tasti sembravano accarezzati da mani che, prima di suonare, faticavano a coordinare i movimenti. Un uomo con la musica dentro. Emozioni intense in platea, loggione e tra chi, a casa comodamente seduto sul divano o poltrona, guardava la tv o distrattamente ascoltava impegnato in altre faccende.
Confesso che tutta questa ammirazione mi ha stupita e persino un po’ insospettita. Nessuno mi fraintenda, ma mi ha istintivamente assalito un dubbio: tutti, ma proprio tutti, avrebbero manifestato una partecipazione emotiva così forte se avesse suonato Bollani, altro grande pianista jazz e compositore contemporaneo? O serve sempre il caso eclatante per capire la bellezza e il valore della musica, dell’arte in genere o di qualunque altra espressione della capacità umana? Abbiamo bisogno ogni volta di guardare al fenomeno, di gridare al miracolo? In altri termini, ci si è commossi di fronte al Bosso malato di SLA che, nonostante l’handicap, suona divinamente o al musicista tout court?
Mi si perdoni un briciolo di polemica che mi sento peraltro di condividere.
Quanti conoscevano Ezio Bosso prima di mercoledì 10 febbraio 2016? Eppure suona da sempre. A 16 anni già girava per le orchestre europee; ventenne, si esibiva nei più famosi teatri del mondo dal Royal Festival Hall di Londra al Sidney Opera House in Australia; oggi tiene corsi in Giappone. Notissimo compositore di musica sinfonica e direttore d’orchestra, è stato anche un componente degli Statuto gruppo pop. Suonava basso e contrabbasso. Ha scritto la colonna sonora del film Io non ho paura (2003) di Gabriele Salvatores. Insomma, un musicista a tutto tondo, un artista completo, da decenni uno dei più grandi compositori contemporanei. E al grande pubblico viene presentato solo ora? Dopo che la malattia lo ha colpito nel 2011? Perché non prima? Ezio Bosso è un talento indipendentemente dalla sua disabilità, non è un musicista diventato purtroppo disabile né un disabile che si è dato alla musica.
Spero di sbagliarmi. La sensazione tuttavia che una latente forma di pietismo, del guarda cosa riesce a fare nonostante tutto, alimentasse il riconoscimento della bellezza artistica l’ho percepita. Sono bastate queste parole di Carlo Conti dopo l’esibizione: “Non solo hai suonato al festival di Sanremo ma hai avuto anche la standing ovation, una standing ovation all’artista ma anche all’uomo”, frase che sintetizza, a mio avviso, un malinteso che spero non sia voluto. La risposta di Bosso, rivolta a tutti, ha mostrato la persona intelligente quale lui è: “Ricordatevi sempre, la musica come la vita si può fare solo in un modo: insieme.” riportando il discorso sui valori.
Per fortuna l’ascolto del suono prodotto da tocchi magici sulla tastiera del pianoforte aveva messo a tacere una sensazione per me non proprio piacevole.
Questa esaltazione corale per Following a bird, giustificatissima e lo sottolineo, non è stata affiancata da altrettanto entusiasmo per Nino Frassica, almeno da quanto ho letto oggi. Apprezzamenti sì, parecchi, ma toni meno infervorati.
Eppure è stato un momento di alta poesia. Frassica, il cabarettista, il comico surreale, ha recitato in musica un testo di Tony Canto, versi che uniscono la tenerezza alla tragicità del nostro oggi e offerti al pubblico da una voce melanconica capace di rendere la serietà del reale.
A mare si gioca
Si possono fare i castelli di sabbia
si può stare sotto l’ombrellone a fare le parole crociate
si può giocare con le racchette e la pallina
si possono fare volare gli aquiloni
e si può scrivere il proprio nome sulla sabbiaA mare si gioca
Si possono fare le gite col canotto
si può prendere un materassino e fare il bagno col bambino
gli puoi mettere i braccioli, la maschera,
e poi quando esce dall’acqua starci insieme,
e giocare con lui, con la paletta e il secchiello
perché a mare si giocaA mare si gioca
I gabbiani lo sanno,
infatti volano a pelo d’acqua… e urlano
e poi salgono su altissimi… e fanno finta di essere delle nuvole
i pescatori sono loro amici e gli lanciano i pesci
e loro ricambiano, riempiendo di allegria bianca
i quadri, i cieli, le acque e la vitaA mare si gioca
giocano tutti!Si può giocare al gioco dello scafo
si sale tutti su un gommone
fino a riempirlo all’inverosimile
quando quello che porta il gommone,
che comanda,
dice di buttarsi tutti a mare
ci si butta a mare
è un giocoQuando io ero giovane lavoravo nella guardia costiera, a Lampedusa
quante cose che ho visto!
una volta mentre giravamo abbiamo visto 366 delfini impigliati nelle reti,
forse per fame, forse perché c’era una guerra sottomarina tra pesci,
noi li abbiamo liberati tutti dalle reti
e li abbiamo visti nuotare velocissimi, saltare fuori dall’acqua e inseguirsi… giocavano!A mare si gioca
si gioca!Ci sono bambini che giocano a stare immobili con la faccia in acqua
senza respirare
perché tanto lo sanno
che sta per arrivare la mano forte del papà
che li prenderà e li farà giocare.
A mio avviso, questo spazio avrebbe meritato di più in termini di partecipazione emotiva del pubblico a casa, dei social network e dei media oggi, dell’opinione pubblica insomma. Ma forse Frassica per molti è solo un abile attore, in grado di strapparti la risata e, nell’immaginario, è rimasto ancora il frate Antonino da Scasazza di Quelli della notte.
Per me Sanremo può anche finire qui. I suoi vincitori li ha già avuti.